DDL Cirinnà

Donne attente, vi stanno ingannando! La grande bugia dell’utero in affitto e della maternità surrogata

utero in affitto

«Che fine hanno fatto tutte le battaglie per il riconoscimento dei diritti alle donne se una legge permette di renderle schiave, comprate? È inutile negarlo siamo di fronte ad un contratto tra i committenti, gli aspiranti genitori e la donna che ci mette l’utero». In una nota presentata e divulgata il 30 gennaio, Progetto Famiglia, Fraternità di Emmaus e Punto Famiglia, da oltre vent'anni impegnate nella tutela e nel sostegno di bambini, ragazzi, donne e famiglie, intervengono sulla pratica dell'utero in affido e della maternità surrogata.

Le questioni in gioco, anche se connesse al dibattito sul DDL Cirinnà, vanno ben oltre tale discussione ed assumono una grande rilevanza storica. La pratica dell’utero in affitto non riguarda, infatti, solo le unioni omosessuali, ma va oltre poiché pone domande sul fatto che si possa avere un figlio a prescindere dalla differenza sessuale, dall’età, dai legami familiari e che le persone possano essere oggetto (o contenitori) di attività di compra-vendita. Si tratta dunque di una battaglia per l’umanità.

QUALE UMANITÀ CONSEGNIAMO ALLE NUOVE GENERAZIONI?

L’utero in affitto introduce una negativa e artificiale dualità: la persona è distaccata dal suo corpo.

Se ammettiamo che una donna che porta in grembo il figlio può non essere coinvolta affettivamente ed emotivamente dalla gestazione, vuol dire ammettere che quanto accade nel corpo è solo del corpo e che dunque il corpo è un oggetto accidentale che non ha valore in riferimento alla persona che è altro dal suo corpo. L’esperienza di tante madri, il buon senso e soprattutto tanta letteratura scientifica sul rapporto madre-figlio sono la prova provata che dietro alla necessità di tradire il significo antropologico dell’uomo vi è una dittatura economica e di desiderio. La dittatura economica è quella subita dalle donne che per necessità sono costrette a vendere il proprio corpo rinunciando alla loro dignità e femminilità. Mentre la dittatura del desiderio è quella di quei committenti, che a partire da un legittimo desiderio del figlio, lo fanno diventare pretesa, o addirittura diritto.

UNA NUOVA SCHIAVITÙ

Una legge non può indicare come bene per le future generazioni la visione di un essere umano, nella fattispecie di sesso femminile, per cui il suo corpo non ha valore e dunque può essere usato come contenitore. Questa visione è soggiacente all’abuso e alla violenza sulla donna. Viene da chiedersi: «Che fine hanno fatto tutte le battaglie per il riconoscimento dei diritti alle donne se una legge permette di renderle schiave, comprate – perché siamo di fronte ad un contratto tra i committenti, gli aspiranti genitori e la donna che ci mette l’utero?». Quando si parla di donazione si dice una bugia perché non esiste la gratuità nella maternità surrogata. L’utero in affitto permette di violare le donne nella loro femminilità e intimità per rispondere a desideri di uomini e donne benestanti.

BAMBINI VENDUTI E INGANNATI

Secondo poi, non per ordine di importanza ma solo ordine di ragionamento, è in gioco il diritto di colui che non ha voce, perché a fronte del desiderio degli adulti di avere un figlio c’è il diritto di nascere del bambino sapendo quale è la sua eredità biologica e cioè chi è il padre e la madre. È possibile vivere, come alcuni siti di maternità surrogata consigliano, non dicendo mai la verità al proprio figlio? Ma se il figlio cresce con due papà o due mamme, la decisione del silenzio non regge a lungo. Ad ogni modo è davvero paterno e materno tenere nascosta l’origine al proprio figlio? Qui non ci interessa tanto sottolineare i disagio dei genitori che dovranno dare una risposta al figlio quanto piuttosto il diritto del figlio a conoscere la sua origine biologica. L’introduzione dell’utero in affitto, la possibilità dell’eterologa, la privacy dei donatori permette in futuro di ritrovarci con un figlio che è stato generato da un donatore americano, impiantato in una donna asiatica, commissionato da genitori europee, insomma una confusione di identità che certamente non è il bene che noi auguriamo ai nostri figli e che certamente una società civile non può garantire ai suoi futuri cittadini.

NEGAZIONE DELLA MATERNITÀ

E ancora non per ordine di importanza è in gioco la maternità intesa come capacita di donare la vita. La pratica dell’utero in affitto e i suoi affini introducono – o potremmo dire distruggono – il concetto di maternità. Il nostro codice civile afferma che è madre colei che partorisce il figlio, l’utero in affitto viola questa norma. Che grande consolazione sapere che, a parte casi di disaffezione materna, che di madre ce ne è una sola, ed è colei che ti ha generato, che ha fatto spazio nel suo corpo per accoglierti, ti ha cullato nel grembo, che si è accorta della presenza del figlio prima ancora del test positivo, è colei che ha sconvolto le sue abitudini, ha accettato le nausee, ha visto stravolgersi il suo corpo assumendo chili in più… e tutto e solo per il figlio. Questo costituisce un elemento di strutturazione esistenziale. La pratica dell’utero in affitto e sui affini nega l’unica maternità. Perché ad oggi siamo già a quattro madri: Due genetiche, se si interviene sullo sdoppiamento tra parte mitocondriale e nucleo, una madre surrogata e la madre committente o sociale. A queste se ne possono aggiungere altre se si pensa ai possibili sviluppi della vicenda. Pensiamo alla possibilità che la madre committente a un certo punto smette di desiderare quel figlio e decide di restituirlo, o al caso in cui il figlio non risponde ai progetti e ai sogni che si erano fatti i committenti. Bisognerà trovare dei genitori affidatari se non adottivi per questo bambino che in fondo è figlio di chi? Chi è la sua mamma?

SVALUTAZIONE DELL’ADOZIONE

Infine è in gioco la svalutazione dell’istituto dell’adozione a favore del figlio prodotto in laboratorio. L’adozione nasce per rispondere al bisogno del bambino di avere una famiglia. L’utero in affitto inverte le parti e con l’aggravante di tutti gli inganni che comporta. Il desiderio di maternità e paternità richiede una autenticità di donazione. L’adozione o l’affido sono la via umana per rispondere a questo desiderio. Nell’adozione c’è l’incontro tra il bisogno dei genitori e quello del bambino con la preminenza di quest’ultimo. Il desiderio del figlio concorre alla costruzione del bene in quanto trova un rimedio alla ferita sia del bambino che dei suoi genitori adottivi. Nell’utero in affitto il desiderio quasi imperioso di chi vuole il figlio non va a sanare nessuna ferita se non – teoricamente – quella del committente ma ne procura altre, quella del bambino, appunto prodotto e confezionato, della madre surrogata che – per ottemperare agli obblighi del contratto che ha firmato – dovrà staccarsi dal suo bambino, vivere la sua depressione post partum procurata per volontà di altri e per ragioni economiche. Per queste ragioni è necessario rigettare ogni proposta che, in maniera esplicita o implicita (stepchild adotion), legittima il ricorso all’utero in affitto. Una legge per il bene comune non può consentire di calpestare la dignità umana e il valore della maternità. Non si tratta di solo prevedere delle sanzioni per chi fa ricorso alla stepchild adoption, si tratta di impedire che ci sia il ricorso ad essa e di riaffermare quanto il codice civile prescrive art. 269 comma 3 a proposito del fatto che la madre è colei che partorisce e dell’articolo 12 della legge 40 per cui vige il divieto della maternità surrogata.




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