Il Vangelo letto in famiglia
XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B – 3 NOVEMBRE 2024
«Qual è il primo di tutti i comandamenti?»
La vera novità è l’umiltà, il desiderio che Cristo chiede a ciascuno di noi di avere, ovvero il desiderio di non compiacere noi stessi attraverso l’osservanza di norme sterili e senza cuore, ma di amare attraverso una legge che diventa legge di liberazione proprio attraverso l’amore.
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12,28b-34)
In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
IL COMMENTO
di don Gianluca Coppola
Per poter comprendere appieno e fare nostro il messaggio che il brano evangelico e la liturgia della Parola di questa domenica vogliono farci assimilare, dobbiamo innanzitutto partire dal senso profondo della domanda che «uno degli scribi» rivolge a Gesù. Questi pone un quesito che a noi uomini contemporanei, in un primo momento, può apparire insignificante: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Tale domanda ci sembra trascurabile per diversi motivi: in primis, perché viviamo in un contesto completamente diverso da quello in cui viene posto questo dubbio, un contesto che appare addirittura agli antipodi rispetto a quello in cui viveva Gesù. Al giorno d’oggi, infatti, la legge di Dio non corrisponde più alla legge degli uomini, e ciò vale anche in ambiente cattolico, il che, tra l’altro, tradisce il pensiero giuridico tomista per il quale la legge di Dio deve essere recepita nella legge dello stato e la legge dello stato deve essere ispirata alla legge di Dio.
Un altro motivo per cui la domanda dello scriba appare banale risiede nel fatto che oggi non abbiamo più il dovere di osservare delle leggi comportamentali. Al tempo di Gesù, non solo la legge di Dio coincideva con la legge dello stato, ma tale legge delineava in maniera quasi ossessiva il comportamento etico, ma anche pratico della persona; essa cioè delineava le norme comportamentali a cui tutti dovevano attenersi e che, nascendo tra l’altro da un’interpretazione errata della legge di Mosè, erano diventate una vera punizione per gli uomini che dovevano osservarle. Come possiamo notare dalla lettura dei Vangeli, ma anche constatare tutt’oggi in alcuni contesti ebraici ultraortodossi, esistevano perfino leggi che imponevano al pio ebreo un determinato modo di camminare, di lavarsi le mani o di pulire le suppellettili per la cucina.
La domanda dello scriba allora non nasce soltanto dalla volontà di mettere alla prova Gesù, cosa che spesso riscontriamo nei Vangeli («I farisei e i sadducei si avvicinarono per metterlo alla prova»), ma scaturisce anche dal desiderio di trovare in Cristo ciò che lui è veramente: liberazione! Dunque, la prima indicazione pratica che possiamo ricavare da questa Scrittura è che il vero fedele è colui che si sente e di fatto è realmente liberato dalla presenza e dalla misericordia di Dio, poiché tale presenza e tale misericordia, che si esprimono nel dono totale di Cristo, rappresentano per noi la vera fede. Prendendo in prestito le parole di San Paolo, io e te siamo ancora sotto la legge oppure abbiamo deciso di accogliere la grazia liberante, salvatrice di Cristo, che è venuto per farsi uomo e per donare la sua vita per noi?
La risposta di Gesù è una risposta antica, poiché, come Lui stesso afferma, l’operazione che il Cristo opera nella storia della salvezza non è di modifica della legge antica, quanto piuttosto di completamento della stessa. Gesù, infatti, cita direttamente dalla Legge: «Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza». In questa risposta, apparentemente sembra non esserci alcuna novità. Ma la vera novità risiede nella purezza di cuore con cui Gesù chiede di avvicinarsi e approcciarsi alla legge. La vera novità è l’umiltà, il desiderio che Cristo chiede a ciascuno di noi di avere, ovvero il desiderio di non compiacere noi stessi attraverso l’osservanza di norme sterili e senza cuore, ma di amare attraverso una legge che diventa legge di liberazione proprio attraverso l’amore.
Pertanto, se esaminiamo la risposta di Gesù senza i sensi di colpa che ci assalgono nel momento in cui ci scopriamo forse non così bravi e buoni nell’osservare i comandamenti di Dio, comprendiamo quale sia in realtà il modo di procedere per essere graditi a Dio e dunque santi. Il primo passo da compiere in questo processo è, infatti, l’ascolto. Sì, perché la risposta di Gesù non parte dall’amore, e ciò ci fa comprendere che c’è qualcosa che precede l’amore. «Ascolta, Israele!»: ogni volta che la Scrittura cita il popolo santo, in realtà, noi tutti possiamo identificarci nelle parole che Dio rivolge ad esso. Quindi è chiaro: se Israele non ascolta, non sarà in grado di amare, e questo vale allora per ciascuno di noi. Il modo in cui Gesù struttura la sua risposta ci fa comprendere un passaggio fondamentale: fare silenzio di fronte all’immensità di Dio e di fronte al mistero nascosto nel cuore del fratello, nella sua storia, nella sua vita, nelle sue ferite, nelle sue povertà, è il primo vero atto di amore. Gesù poi prosegue nella sua risposta e usa il verbo “amare” coniugato al futuro: «Amerai», perché l’amore può venire solo in un futuro preceduto dall’ascolto. «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza» e dunque, «amerai il tuo prossimo come te stesso» solo se avrai avuto il coraggio di tacere nella sacralità di un silenzio che diventa scuola di ascolto e di amore.
«Non c’è altro comandamento più grande di questi», dice Gesù. È proprio vero: non esiste comandamento più importante, perché chi ascolta, ama. E soltanto chi ama di quell’amore che viene dal cuore di Dio, di quell’amore che viene dal silenzio orante della preghiera, della meditazione della Parola e dell’adorazione, parafrasando Sant’Agostino, sarà in grado di fare ciò che vuole.
Gianluca Coppola (1982). È presbitero della Diocesi di Napoli. Ha la passione per i giovani e l’evangelizzazione. È stato ordinato sacerdote il 29 aprile 2012 dopo aver conseguito il baccellierato in Sacra Teologia nel giugno del 2011. Dopo il primo incarico da vicario parrocchiale nella Chiesa di Maria Santissima della Salute in Portici (NA), è attualmente parroco dell’Immacolata Concezione in Portici. Per scrivere a don Gianluca: giancop82@hotmail.com
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