“Ritrovo mia figlia viva nell’Eucaristia”: testimonianza di una madre

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Mamma che ha perso una figlia racconta: “Sono tornata alla confessione e ho capito che era l’unica strada. L’unico luogo in cui avrei potuto ritrovare Marianna era la Chiesa. Io mia figlia la ritrovo viva nell’Eucaristia. La sento vicina nella preghiera e in tanti momenti della quotidianità. Ma l’Eucaristia è il momento in cui la sento più vicina. Cielo e terra si toccano, in quel Pane e in quel Vino. Oggi comprendo cosa significhi la comunione dei santi”.

Non ricordo precisamente dove, ma una volta ascoltai una frase che mi fece riflettere: “Se non troviamo un senso alla morte, allora non troveremo un senso neppure alla vita”. 

La nostra permanenza su questa Terra non dura che un soffio e, come ogni anno, la ricorrenza del 2 novembre, giorno dedicato alle sorelle e ai fratelli defunti, viene a ricordarcelo.

Siamo fatti per il Cielo

Siamo polvere e polvere torneremo.

Eppure, non siamo solo polvere, siamo figli amati, ai quali è stato promesso che neppure un capello del nostro capo andrà perduto.

Come si conciliano queste due realtà, ovvero la caducità umana con il desiderio di eternità che ci abita e ci anima?

La chiave, per noi cristiani, è nel Vangelo, dove ci viene assicurato che esiste una vita che non si corrompe, quella dell’anima, creata immortale

Può sembrare vana speranza, pia illusione, suggestione: non è che ci convinciamo che ci sarà una vita dopo la morte perché proprio non riusciamo ad accettare la fine?

La risposta a questa domanda la si trova rispondendo a un’altra: è credibile Gesù?

È “uno che dice la verità” sull’Uomo e sulla Donna? Quando parla arriva dritto al cuore e mi rivela esattamente ciò che ho bisogno ascoltare?

È un uomo sano, saggio, equilibrato? È attendibile quando parla, quando argomenta, quando obietta?

Perché, se a queste domande possiamo rispondere sì, se Gesù non ci inganna in nulla di ciò che riguarda il nostro vero bene, nemmeno ci ingannerà sul nostro destino ultimo. E se leggiamo attentamente i Vangeli, vediamo che Gesù parla spessissimo del nostro destino ultimo e ciò che più gli sta a cuore è la nostra conversione (è il primo insegnamento che dà: “Convertitevi e credete al Vangelo”, il più urgente).

Tutto conta, ai suoi occhi: che riacquistiamo la vista, che possiamo smettere di camminare curvi, che guariamo dalla lebbra, dalla febbre, persino che il nostro corpo torni in vita dopo la morte come dimostra con la vicenda di Lazzaro o altre persone resuscitate. Eppure, ancora di più Gesù desidera che stiamo attenti alla morte dell’anima, quell’anima che forse, a volte, neghiamo persino di avere. 

E quanto siamo in errore, come spiega Gesù ai sadducei.

Se leggiamo i Vangeli capiamo che al Dio di Cristo preme in modo particolare che non perdiamo la possibilità di trascorrere tutta l’eternità insieme a Lui.

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Il più grave dei mali, allora, non è la “fine della vita fisica”, ma il peccato. Una parola desueta, spesso rigettata, ma che indica la perdita dell’amore, la perdita delle relazioni e del senso stesso del vivere. E allora la morte, quella vera, non è quella del corpo.

La ricorrenza di Ognissanti prima e dei defunti poi, possono suscitare in noi questa riflessione: la mia anima è viva? Sono unito, unita a Dio? Se il Signore mi chiamasse oggi, domani, tra un mese, come troverebbe il mio cuore? È pronto all’incontro con Lui?

Non si tratta di spaventarci, perché l’obiettivo è un altro: è imparare, come hanno fatto i santi, a vivere già qui da cittadini del Cielo. È capire che, se viviamo col cuore in Cielo, anche le cose di quaggiù hanno tutto un altro sapore.

E se il peso della morte di una persona cara è insostenibile?

Può essere molto più difficile la “partenza” di una persona cara che accettare la propria stessa condizione di soggetti mortali.

Vorrei, di seguito, riportare la testimonianza di Maria Letizia, una mamma che ha perso in un’incidente la figlia, oggi testimone di fede, Marianna Boccolini (per la quale, è ufficiale, è stato aperto il processo per verificare la santità della vita).

Questa mamma, che è stata spezzata dal dolore, oggi testimonia che in Dio anche il lutto è vinto. Se qualcuno le chiede Come è arrivata la salvezza da questo buio?”

Lei risponde: “Ho cominciato a pregare tutto quello che potevo pregare… Il rosario, la coroncina della divina misericordia, la coroncina delle lacrime, sostavo davanti al Crocifisso e invocavo la Madonna Addolorata. Poi mi sono accostata proprio alla Chiesa, prima magari attraverso degli amici che avevano una bella fede, che frequentavano, loro mi hanno affidato alla preghiera delle claustrali, mi hanno accompagnato a parlare con dei sacerdoti, ho quindi ripreso a frequentare la Chiesa. Più la frequentavo, più sentivo il bisogno di purificarmi. Sono tornata alla confessione e ho capito che era l’unica strada. L’unico luogo in cui avrei potuto ritrovare Marianna era la Chiesa. Io mia figlia la ritrovo viva nell’Eucaristia. La sento vicina nella preghiera e in tanti momenti della quotidianità. Ma l’Eucaristia è il momento in cui la sento più vicina. Cielo e terra si toccano, in quel Pane e in quel Vino. Oggi comprendo cosa significhi la comunione dei santi. Sento forte la presenza di mia figlia e sento il bisogno di andare a nutrirmi di quel Pane, senza il quale non ce se la fa a portare questo dolore. È un dolore troppo grande, da soli è impossibile. Si può avere tanta forza di volontà, si possono fare esercizi di autocontrollo, il mondo può proporti qualsiasi cosa: non vale niente. Di fronte a un dolore così, c’è bisogno soltanto di Gesù, che è Vita; che è Via e Verità. Soltanto con la sua frequentazione io posso tirare i piedi fuori dal letto. Ogni mattina lo invoco, chiedo “Corri” e lui corre. Ci sono giorni più pesanti degli altri, ci sono giorni che senza di Lui non ce la farei proprio. Mi sostiene. A volte mi sembra di camminare, invece è Lui che mi porta in braccio” 

(Dal libro “Vivere il lutto insieme a Dio”).




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Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

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