Educare all’affettività

Messaggi banali sull’amore e sul sesso? I giovani meritano di più!

Foto: Unsplash

Quando ero adolescente, spopolavano i libri e i film di Federico Moccia. Ricordo “Amore 14”. Protagoniste tre ragazze di terza media, che si trovano “sole” a ragionare sulla sessualità e a vivere le prime esperienze. L’unico adulto che interviene su temi legati all’affettività è un sacerdote, ma lo fa in modo goffo e irritante. Ai Moccia di oggi chiedo: perché non usare le storie per educare e accompagnare gli adolescenti in ricerca? Perché non sentirci per loro come “padri” e “madri”?

Sono cresciuta con Federico Moccia. Non è un vanto, assolutamente, ma un semplice dato di fatto. La mia generazione era quella che andava al cinema, in adolescenza, per vedere (e rivedere) “Tre metri sopra al cielo” e “Ho voglia di te”. 

Quando avevo 17 anni, uscì nel grande schermo “Amore 14”, un film tratto dall’omonimo libro di Moccia che affronta temi come: i primi amori, i primi baci, “la prima volta”, dalla prospettiva di un gruppo di amiche quattordicenni; Carolina, Alis e Clod. Non avevo letto il libro, ai tempi, ma decisi di andare a vedere il film.

Ricordo che di quella pellicola qualcosa – anzi, quasi tutto – mi stonava. Mi disturbava che il sesso fosse dipinto come “un’esperienza tra le tante”, quasi fosse un “gioco per grandi”, svuotato della sua sacralità e della sua dimensione personale, relazionale

Non avevo ancora studiato la “teologia del corpo”, ma sapevo che dagli adulti mi aspettavo tanto. E gli “insegnamenti” di Moccia non erano sufficienti, per me. 

Decisi di scrivere una recensione, che piacque molto alla mia insegnante di greco, ai tempi direttrice del giornale del liceo che frequentavo. L’articolo fu dunque pubblicato nel giornale scolastico. 

Senza dirmi niente, la professoressa inviò il mio pezzo ad un concorso nazionale e arrivò secondo!

Mi colpisce ancora, se ci penso bene, che fu considerato meritevole di quel premio da una giuria laica (c’era, per esempio, tra i giurati chiamati a votare, l’allora direttore de “Il Corriere della sera”, Ferruccio De Bortoli).

Certo, non avevo citato la fede, non avevo parlato di Dio, non avevo nominato Giovanni Paolo II, come probabilmente farei ora, eppure mi sorprese che fu tanto apprezzata da un mondo laico la mia “ribellione” a messaggi poveri sulla sessualità.

Qualche giorno fa ritrovai il libro “Amore 14”, che mi era stato regalato per farmi uno scherzo. Non lo avevo mai nemmeno aperto. Decisi di “studiarlo”. 

Volevo comprendere, leggendolo in un’altra età, come “si muove il mondo” per convincere i giovani che il sesso, in fondo, valga poco.

Il testo attrae perché gioca sulla naturale curiosità degli adolescenti. Gioca sul fatto che sono alla ricerca di risposte, che vogliono scoprire il loro corpo e “come funziona”. Ci sono dei momenti che stuzzicano molto la fantasia, in quanto rasentano il porno (l’autore entra nei dettagli facendo immaginare o, meglio, vedere tutto), ma le descrizioni degli incontri, dei baci, dei momenti romantici, fanno “sognare” le ragazzine che desiderano a loro volta attenzioni e momenti forti da vivere (a dire il vero, è un po’ un controsenso che le protagoniste vivono le prime esperienze senza neppure sapere se i ragazzi con cui stanno le hanno già vissute con altre: per quanto ne sanno, potrebbero essere la numero venti e già questo  basterebbe per smascherare il presunto romanticismo delle storie raccontate).

Eppure, questi incontri sono descritti con tutta la poesia e la magia del caso, trascurando che nei rapporti personali poi non c’è verità, non c’è responsabilità, e non si accenna mai a un progetto, a uno stare insieme perché ci si vuole bene.

Il succo è: attrazione, eccitazione, voglia di vedersi, di spogliarsi.

Il libro è “piacevole”, è spiritoso, quindi è facile entrare nei dialoghi, immergersi nella vita di queste giovani donne in cerca di sé stesse. L’autore sa bene come incuriosire. 

Leggi anche: “Ti dono tutto di me”: se questo è fare l’amore, quando è il momento giusto?

Da mamma, però, leggendo ciò che queste ragazze si dicono, provo tenerezza per loro: mi verrebbe voglia di abbracciarle, di ascoltarle, di offrire loro risposte di senso, di aiutarle a porsi le domande giuste. Sembrano come pecore senza pastore: nel libro, infatti, gli adulti fanno la loro vita e queste giovani si barcamenano nel difficile compito di crescere completamente da sole (al massimo, con i fratelli maggiori).

Ci sono degli adulti “buoni”, come la mamma della protagonista, ma è troppo sfinita dalla vita e dal rapporto logorante col marito per occuparsi dei cambiamenti ormonali della figlia. Ci sono i nonni, che sono “belli” insieme. Eppure, la loro storia sembra qualcosa d’altri tempi, che poco ha a che vedere con le scelte della protagonista oggi e comunque, lei, non parlerebbe mai di “certe cose” con loro.

L’unico adulto che interviene nella storia per affrontare temi legati all’affettività è un sacerdote che insegna religione a scuola, ma lo fa in modo talmente goffo che chiunque sarebbe tentato di non raccontare più nulla ad un religioso! (E anche il cliché del prete moralista e retrogrado è stato rispettato!).

Così, le nostre protagoniste si autogestiscono nell’educazione sessuale, con tanto di lavagne e pennarelli (attraverso i giornalini, i coetanei, le esperienze dei più grandi, perché internet non era così pervasivo) e vivono le loro esperienze senza farne cenno con gli adulti. Alis, quattordicenne, vive la sua prima volta con un uomo ragazzo di ventuno, dopo averlo appena conosciuto, perché lui le aveva chiesto di spogliarsi completamente per vedere se andava bene come modella per la ditta di moda del padre.

La protagonista, invece, Carolina, trova “l’amore vero”, dopo mesi di relazioni vissute da ragazza “facile” (è il fratello che descrive così chi si comporta come lei) ma se poi andiamo a vedere com’è questo amore vero, che dovrebbe portarla a donare tutta sé stessa (se Moccia non se lo ricorda, quel gesto permette a due persone nientedimeno che di diventare una sola carne…), beh vediamo che questi due ragazzi non parlano di nulla, se non delle loro avventure precedenti, di quanto stanno bene in costume, di quanto sia eccitante saltare la scuola…

Rapporti vuoti. Immaturi. Come è normale che sia a quattordici anni, se non ha qualcuno che ti prende per mano. Ed è questo che oggi, come quindici anni fa, rimprovero all’autore.

Egli descrive, semplicemente, il vuoto di valori con cui spesso gli adolescenti si trovano a fare i conti perché lasciato dai grandi. Eppure, tra quei grandi, c’è anche lui. Che alimenta quel vuoto, invece di colmarlo. 

Non denuncia, ad esempio, visioni maschiliste, ma le appoggia, quando fa dire alle protagoniste (senza che qualcuno intervenga, mostrando che sono in errore!) di “sbrigarsi” a fare l’amore, sennò “uno così lo perdi” (parole testuali).

L’autore – come tanti cantastorie moderni – si adegua al mondo: non fa nulla per dare il suo contributo e rendere magari proprio il libro uno strumento educativo.

L’autore, che poteva fare “il padre” per tutte le giovani menti e i giovani cuori che lo avrebbero letto, ha speculato sulla loro solitudine, sulla loro inesperienza, sul loro bisogno di sapere, spesso inascoltato dagli adulti in carne ed ossa che hanno intorno; sulla loro fatica a dialogare in modo profondo perché non l’hanno visto fare.

Che peccato. I ragazzi ci guardano. E, nel caso di noi scrittori, ci leggono, cercando non solo informazioni tecniche, ma prima di tutto modelli da seguire. 

Ai Moccia di oggi vorrei dire che potremmo usare le storie in un altro modo, consapevoli del loro potere trasformante. 

Potremmo usarle per tirare fuori nei giovani lettori il meglio che c’è in loro.




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

ANNUNCIO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.