BULLISMO Morire di bullismo: l’adolescente suicida di Senigallia ci insegni qualcosa Autore articolo Di Cecilia Galatolo Data dell'articolo 18 Ottobre 2024 Nessun commento su Morire di bullismo: l’adolescente suicida di Senigallia ci insegni qualcosa di Cecilia Galatolo Il suicidio dell’adolescente di Senigallia, Leonardo, che – ormai pare assodato – era vittima di pesanti atti di bullismo, deve scuoterci tutti. Un ragazzo ruba l’arma di ordinanza del padre, un vigile, e si nasconde per togliersi la vita. Ora è il tempo del cordoglio, ma dobbiamo anche chiederci: “Cosa possiamo fare di più?”. Vi racconto, ad esempio, cosa mi è successo in una scuola… Il suicidio dell’adolescente di Senigallia, Leonardo, che, ormai pare assodato, era vittima di pesanti atti di bullismo, deve scuoterci tutti. Un ragazzo ruba l’arma di ordinanza del padre, vigile, e si nasconde per togliersi la vita. C’è un passo del Vangelo che sembra scritto appositamente per situazioni come questa. “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: "Stupido", dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: "Pazzo", sarà destinato al fuoco della Geènna”. Gesù afferma chiaramente che non si uccide solo con la spada, con atti di violenza fisica: si può uccidere una persona anche nell’onore, umiliandola e ferendola nei sentimenti, nella parte più intima di sé. Gli insulti, in pubblico o in privato, sono fonte di sofferenza indicibile, tantopiù se la vittima è fragile e pensa di non potersi difendere, e, magari, si sente sola ad affrontare le ingiurie. Se leggiamo attentamente il brano evangelico, a primo impatto possiamo pensare che Gesù sia “esagerato” ad affermare che vicino alle tenebre (l’inferno) non è solo chi toglie materialmente la vita a qualcuno, ma anche chi umilia il fratello o la sorella. Eppure, il termine usato, “stupido”, nella lingua originaria letteralmente contiene, oltre all’insulto in sé, una specie di “maledizione”, l’augurio che quella parola possa ferire nel profondo e provocare il male. Gesù sta dicendo che la cattiveria ci avvicina al Maligno, ci fa simili a lui, ci fa “meritevoli”, se non ci pentiamo e non accogliamo la redenzione, della sua stessa sorte infelice. Perché sì… Si può morire anche per l’indifferenza e per la derisione. Si può morire perché ci si sente soli, inutili. Si può morire perché sembra che tutti gli altri abbiano un posto nel mondo, noi no. Questa vicenda deve scuotere i genitori tutti: di chi subisce, di chi commette certe azioni e anche di chi assiste, perché il più debole sia difeso, non vilipeso. Deve scuotere gli insegnanti: a che serve che i nostri ragazzi acquisiscano nozioni e competenze, se poi non imparano ad avere relazioni sane con i loro pari? Deve scuotere la Chiesa, la comunità ecclesiale tutta, le parrocchie che i nostri bambini e ragazzi frequentano: inutile parlare loro di Gesù e dei suoi messaggi di amore e fratellanza, se non facciamo di tutto per creare ambienti dove tutto ciò sia incarnato, vissuto. Vicende come queste devono scuoterci e, poi, interpellarci. Leggi anche: 12 ottobre, memoria della morte di Carlo Acutis. La testimonianza di Donata (puntofamiglia.net) La domanda che mi faccio, da mamma, da educatrice, da catechista è: cosa sto facendo perché i ragazzi a me affidati capiscano il peso reale delle loro parole e rinneghino la cattiveria che sono tentati di spargere intorno? Cosa sto facendo perché chi è sotto alla mia cura senta che può fidarsi di me e raccontarmi tutto ciò che lo ferisce? Da mamma, ma anche da cittadina, come contribuisco a generare una cultura per cui i miei figli, ma anche i figli degli altri che ho occasione di incontrare, capiscano che i giudizi spietati trafiggono il cuore dell’altro? Cosa faccio per spiegare che esiste un nemico dell’anima, il demonio, che mi raggira e mi usa, se io non vigilo sul mio cuore, affinché l’altro sia infelice a causa mia? Due anni fa mi invitarono a Napoli, in una scuola media, in qualità di scrittrice di libri per ragazzi. Ricordo ancora la tristezza di uno studente, escluso dal resto della classe, che mi disse, davanti a tutti, con totale onestà: “Io mi sento un fallito, perché i miei compagni mi fanno sentire così”. E gli altri giù a ridere. Sì, a ridere, in presenza dei professori e anche mia. In presenza di adulti. Li ho fulminati. Fulminati letteralmente: “Cosa c’è da ridere? È da deboli affermare sé stessi deridendo gli altri, forti sono coloro che sanno accorgersi dei sentimenti altrui e farsene carico. Pensate di essere grandi, grossi e forti, ma siete deboli. Dovete crescere, maturare, e, magari, quando avrete capito tutto il male che avete fatto a questo vostro compagno, chiedetegli scusa! Avete un comportamento da immaturi e da vigliacchi… Da piccoli… E invece è proprio ora che decidete chi volete essere da grandi!”. Non so quanto abbiano capito, ma in quel momento, almeno, hanno smesso di ridere. Qualcun altro, dopo l’incontro con un’altra classe, è venuto da me piangendo e mi è stato riferito che avevo toccato delle corde particolari. Dai bigliettini anonimi che ricevevo, inoltre, capivo che il problema del bullismo era molto, molto diffuso. Quell’esperienza mi segnò al punto che proposi alla Mimep Docete, casa editrice con cui pubblico spesso dei romanzi, di scriverne uno proprio sul bullismo. Il libro, ambientato in una scuola media, è uscito col titolo: “CambiaMenti. #BullismoOut” e so che è stato adottato come lettura da alcune classi di quella stessa scuola… Cari educatori, a qualunque livello vi troviate, in qualunque ruolo siate, non stancatevi di intercettare queste situazioni, di correggere, di mostrare il bene e il male. A volte, se serve, lasciate un attimo da parte il programma e parlate. Parlate di come vanno le cose in classe. C’è di mezzo la felicità e la serenità di troppi giovani. In alcuni casi, purtroppo, c’è di mezzo la loro stessa sopravvivenza. Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia Cari lettori di Punto Famiglia, stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11). CONTINUA A LEGGERE Tag bullismo, educazione, FERITE DELL’ANIMA, SENIGALLIA, suicidio, UCCIDERE Cecilia Galatolo Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio. Visualizza archivio → ANNUNCIO Lascia un commento Annulla rispostaIl tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *Commento Nome * Email * Sito web Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy. Ho letto e accettato la Privacy Policy * Ti potrebbe interessare: “Volevo essere pura, ma non ci riuscivo per insicurezza. Poi accadde qualcosa…” Carlo Acutis e Piergiorgio Frassati: ecco le date della loro canonizzazione Causa di canonizzazione per Carlo Casini? 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