ADOZIONE

Accogliere la disabilità è una scelta consapevole… non è una disgrazia

Storia di Daniela… e di Dario e dei loro figli speciali

Mia figlia adottiva era nata sana, ma è stata picchiata con violenza a pochi mesi ed è divenuta cerebrolesa gravissima, cieca, deve essere alimentata con Peg, non cammina, non parla, non mantiene la posizione seduta e crescendo sta sviluppando altre patologie. A leggere tutto questo si può pensare che sia un disastro; invece, lei è la Principessa di casa, adorata da tutti, ma specialmente dalle sorelline…

Ormai molti anni fa ci siamo avvicinati al mondo dell’accoglienza, legata soprattutto alla disabilità, con l’aiuto di una nascente M’AMA, una rete di Mamme Matte. E ora la nostra famiglia è composta anche da due meravigliose figlie dai bisogni speciali, una ormai in dirittura di arrivo dei 18 anni e l’altra di 10 anni.

Sento sempre dire che genitori adottivi e biologici sono uguali. Io non credo sia così per tutti i lati e le sfaccettature che ciò comporta: quando scegli di diventare genitore adottivo di una figlia speciale lo fai come scelta consapevole, mentre se ti nasce un figlio disabile è una “disgrazia che nessuno mai vorrebbe affrontare”; poi ci si rassegna, ci si fa forza, si affronta il quotidiano, ci si innamora del figlio partorito più che mai e non ci si immaginerebbe mai la vita senza di lui pur nelle difficoltà.

Però, nessuna persona sana di mente può dire che “vorrebbe o desidererebbe partorire un figlio disabile”, mentre è possibile sentire dei genitori adottivi, sani di mente, dire cose del tipo “vorrei accogliere per sempre un bimbo che ha delle disabilità”!

Il carico emotivo che deriva dal “partorire un figlio disabile” e/o “adottare un figlio disabile” è molto diverso per una serie di pesi, sensi di colpa, dietrologie che un genitore biologico ha rispetto ad un genitore adottivo

Prima di andare oltre, vorrei dire che sono mamma di figli di mio marito, avuti dal precedente matrimonio, figli biologici, figlie adottive e figli in affido e ogni figlio in qualsiasi modo sia arrivato è un dono (cosa tanto criticata). Già è un dono: perché nessun figlio nasce da un “diritto vantato” (non esiste il diritto di diventare genitori) ma nasce da percorsi di amore che possono sbocciare con l’arrivo di un figlio e la modalità di arrivo nulla toglie alla grandiosità del dono.

Come vedete, io uso il termine “adottivo, adottato, biologico, affidatario” senza nessun problema, senza vergogna, senza peso, perché è la modalità di nascita in famiglia dei figli. Non è una discriminante in senso negativo, ma eventualmente solo in positivo: spesso le discriminazioni stanno nella testa degli stessi genitori adottivi che, non avendo ancora fatto pace con sé stessi, si sentono offesi dalla specificazione.

La nostra prima figlia disabile è arrivata quando aveva quattro anni e ciò mi fa mettere un accento sull’importanza che i figli con disabilità arrivino nella propria famiglia da piccoli e questo per molteplici ragioni:

1. poter agire sulla malattia, laddove possibile, utilizzando le finestre dello sviluppo;

2. facilitare l’ingresso emotivo in famiglia con relativa accettazione degli altri figli;

3. instaurare con più facilità un legame affettivo (non che poi non sia possibile, ma è più gravoso in quanto sia le malattie che l’istituzionalizzazione non giovano);

4. anche se vogliamo illuderci di essere santi, io non lo sono e lo dichiaro a gran voce: la cacca di una figlia arrivata piccola fa meno angoscia da pulire della cacca di una sedicenne appena arrivata. 

Mi spiego meglio. Se una figlia “special needs” arriva a casa piccola, si instaura un legame per cui anche se dovrai pulire la sua cacca tutta la vita, visto che crescerete insieme, non farà differenza; ma se una figlia arriva sedicenne a casa e devi farle l’igiene intima e, forse, si fa la cacca addosso, ti manca quel percorso di affiliazione e quell’intimità necessarie. Si percepirà vergogna, titubanza, e frustrazione.

Mia figlia era nata sana, ma è stata picchiata con violenza a due mesi e mezzo di vita ed è divenuta cerebrolesa gravissima, cieca, deve essere alimentata con Peg, non cammina, non parla, non mantiene la posizione seduta e crescendo sta sviluppando altre patologie scheletriche legate all’immobilità e alla sedia a rotelle, sia a danno delle anche, che della spina dorsale. 

A leggere tutto questo si può pensare che sia un disastro; invece, lei è la Principessa di casa, adorata da tutti, ma specialmente dalle sorelline, che non ricordano la vita senza di lei: la coccolano, la lavano, non hanno schifo del muco a chili, della bava, della pipì che a litri ci riversa sui pantaloni quando la teniamo in braccio… ed esultiamo quando fa la cacca perché così non le fa male la pancia.

La nostra seconda figlia disabile è arrivata a casa a 14 anni, dopo molteplici percorsi abbandonici (genitori biologici e diverse famiglie affidatarie e adottive), su di lei l’istituzionalizzazione ha fatto dei danni enormi.

Arrivata a casa non accettava i “no” come risposta e si buttava a terra urlando e facendosi del male per ore (non è un eufemismo la parola ore): il fatto che fossimo famiglia “vecchia” di esperienza di accoglienza e fossimo supportati da una rete ha fatto la differenza e questo ci ha permesso di iniziare un percorso difficile di affiliazione invece di una restituzione.

Lei aveva – ora è splendida – diverse problematiche comportamentali, assunte per una cattiva gestione della bambina in casa-famiglia, che, unita alla sua bassa capacità cognitiva, non aiutava e ha reso me e mio marito consapevoli del fatto che noi eravamo gli adulti che avevano fatto la scelta e che l’avremmo portata avanti… Ma ha anche avuto delle difficoltà di inserimento con le altre figlie che noi genitori con molta saggezza e calma abbiamo affrontato.

Leggi anche: Adozione mite: don Oreste Benzi si batteva per questo quasi trent’anni fa (puntofamiglia.net)

Quando capisci di essere davvero diventato genitore del figlio adottivo?

Mi faccio da sola una domanda: ma le tue figlie “special need” sono diventate figlie nel momento in cui sono entrate in casa? Risposta: “No, assolutamente”, è iniziato con il desiderio di affiliazione, è maturato con la consapevolezza e si è tramutato in amore vero dopo poco (1 anno) per la prima figlia e quasi 2 anni per la seconda figlia.

Sapete quale è la domanda che dovete farvi, per sapere se siete diventati davvero genitori? La risposta socialmente accettabile la dite sempre, ma quella vera la conoscete solo voi: morireste per i vostri figli adottivi? Se dovessi scegliere se salvare in un incidente una figlia/o biologico o uno adottivo/a… cosa fareste?

So che molti, leggendo questo, urleranno allo scandalo e diranno “togliamole i figli”, ma io ora posso dirvi che non solo morirei per tutti i miei figli, ma che ucciderei per difenderli e – in estrema onestà intellettuale – questo non è accaduto nel momento in cui sono entrati in casa; ciò non significa che li abbiamo trattati male o meno bene, ma che mentre li trattavamo fisicamente da figli abbiamo dovuto fare un percorso di innamoramento (ognuno ha i suoi tempi ed esistono anche i colpi di fulmine) per rendere solido, da un punto di vista di sentimenti e “vero” ciò che avevamo deciso con la ragione.

Accogliere figli disabili non è una passeggiata da fare a cuor leggero, perché dietro il semplice accudimento fisico, che è la parte più semplice, vi è uno sconvolgimento delle abitudini che si deve essere consapevoli di affrontare (noi abbiamo dovuto allestire veicoli, mettere ascensori in casa, abbattere barriere architettoniche) e devi accettare una lotta senza mai fine per vedere i diritti dei propri figli rispettati (scuola, terapie, Inps, etc.), perché spesso dietro alla bella parola “inclusione” esiste il vuoto cosmico che addirittura vede le Istituzioni, quelle che dovrebbero garantire i diritti, essere le prime a disattenderli e renderli inaccessibili.

Adozione consapevole e l’importanza dei giusti spazi

Un’altra cosa che pochi dicono è che serve spazio perché, se arrivano piccoli sono gestibili come gli altri bambini, ma poi se per esempio rimangono incontinenti ti scaricano a casa ogni tre mesi scatoloni di pannoloni; se hanno la Peg ogni mese arrivano scatoloni con il cibo alternativo, se non deambulano servono girelli, deambulatori, carrozzine, letti secondo modelli ospedalieri….

Insomma, l’Amore serve per iniziare, ma non può bastare. Deve essere Amore consapevole.

La seconda figlia, arrivata con una diagnosi severa ma stabile e senza dubbi sulla sua evoluzione, dopo tre anni dall’ingresso in famiglia si è trasformata in una malattia senza nome ma progressiva (abbiamo scoperto che già si supponeva ma nessuno ce lo ha detto). Non cammina più da sola, parla malissimo, abbiamo dovuto metterle il pannolone perché spesso si faceva la cacca addosso senza neppure accorgersene. E dopo questa terribile scoperta fatta pochi mesi fa devo dare tre specificazioni:

  1. Siamo tutti disperati e preoccupatissimi per lei e nulla ci pesa nell’accudimento di nostra figlia
  2. Abbiamo anche solo pensato di restituirla? No, mai, neppure all’inizio quando è stato difficile, figuriamoci ora.
  3. Alla luce di questa diagnosi, avremmo accettato l’abbinamento adottivo? No, non avremmo accettato avendo già un’altra figlia gravissima.

I punti 1 e 2 stanno a evidenziare che siamo famiglia, che ci amiamo e che affronteremo il futuro come per qualsiasi famiglia con figli biologici che possono purtroppo ammalarsi nel corso della vita. Il punto 3, però, vuole mettere l’accento sul fatto che le famiglie dovrebbero essere a conoscenza della reale situazione dei minori, il tempo in casa-famiglia dovrebbe servire a fare uno screening completo e non a parcheggiarli, per poter accettare situazioni per le quali si sentono pronti e con le adeguate risorse: discorso annoso che per la tutela reale dei minori andrebbe molto approfondita.

Infine, la domanda più importante: “Lo rifaresti?”. “Tutti i giorni della mia vita rifarei tutto!”.

Vorrei, però, che tutto potesse essere affrontato per le famiglie che faranno un percorso simile al nostro, senza tante stelline e cuoricini svolazzanti raccontati, ma da una cruda e vera realtà che bisogna vivere tutti i giorni, bisogna scegliere tutti i giorni, amarla e risceglierla ogni giorno senza rimpianti …altrimenti è la fine della famiglia, è la fine per i figli già presenti e per quelli arrivati. Una catastrofe forse peggiore dell’abbandono iniziale dei bambini da parte dei genitori biologici.

Questa breve testimonianza, forse dura, non vuole essere un deterrente ma uno sprone su come iniziare bene ciò che non deve mai finire: essere una famiglia e questa è una possibilità che hanno solo i genitori adottivi, una ulteriore e vera differenza tra essere genitori biologici e adottivi di ragazzi “special need”.

Buona famiglia a tutti!




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