VITA NEL GREMBO

“Mamma, è un bambino”: teneva in mano la riproduzione di un feto

Come riflettere sul valore della vita sin dal grembo materno? Oggi Teresa racconta la sua esperienza: una attivista pro-vita le aveva fatto recapitare un pacco con delle riproduzioni di feti a dodici settimane, periodo della gravidanza entro il quale si può abortire. Un giorno, le trova la figlia di tre anni, e, con una di quelle in mano, le dice: ‘Mamma, guarda, un bambino’”.

Sono Teresa e qualche anno fa ho conosciuto a Roma una ragazza che studiava filosofia, oggi sposa e madre di tre figli. Siamo rimaste in contatto, anche se lei poi si è trasferita in Germania, perché ha sposato un cameraman tedesco.

Questi coniugi, in Germania, insieme ad altre persone, hanno avviato un’iniziativa con cui dicono di voler “sensibilizzare sulla dignità della vita nel grembo” e aiutare donne con gravidanze difficili.

Un giorno, la ragazza mi chiede l’indirizzo postale. Deve recapitarmi un pacco. Poco tempo dopo arriva e dentro c’è una lettera, unita a delle bamboline in miniatura, realizzate dalla loro associazione. Sono riproduzioni fedeli di feti a 12 settimane, ovvero al termine del terzo mese di gravidanza, entro il quale è ancora possibile abortire.

Mi scriveva che la addolorava pensare che qualcuno, per giustificare l’aborto, non volesse ammettere la verità: ovvero che in quel periodo della gestazione c’è già un bambino.

Di quelle bamboline me ne aveva spedite parecchie, chiedendomi di regalarle a chiunque negasse la verità, a chiunque dicesse che con l’aborto si elimina solo un “ammasso di cellule”.

“La scienza, la natura, la realtà smentisce queste persone”, insisteva.

Ammetto che non ho mai preso in considerazione l’idea di regalare quelle statuine. Mi sembrava un metodo fastidioso, che accende una guerra e chiude il cuore dell’altro, più che aprire un dialogo.

Nei centri di Aiuto alla Vita, in Italia, non si “sbatte in faccia la verità” in questo modo, a chi vi si rivolge, ma si cerca di comprendere quali ferite o paure sono dietro alla possibile decisione di abortire, si offrono alternative, aiuto, ma con amorevolezza e rispetto.

Spesso una donna incinta è perfettamente consapevole che sta rinunciando a suo figlio quando pensa di abortire e, se non lo è, non necessariamente vedere una bambola la aprirà a quella vita.

Potrebbe ugualmente obiettare: “Non mi importa com’è, è dentro di me, decido io”. E quindi, a che serve mostrarglielo, se non ad incattivirla e chiuderla ancora di più?

Dopo aver avuto questi pensieri, scrivo alla ragazza per ringraziarla, però, poi, ripongo quelle riproduzioni in un cassetto, dimenticandomi quasi della loro esistenza.

Un po’ di tempo dopo, mia figlia – che all’epoca dei fatti aveva tre anni – mi si avvicina e mi dice: “Mamma, ho preso il bambino”.

Leggi anche: Pro life, pro aborto, pro choice quali differenze? Facciamo chiarezza…

E in mano aveva proprio una di quelle statuine. Una volta aperto il cassetto, ne aveva scelta una per giocarci.

In quella bambolina, che avevo praticamente dimenticato lì dentro, lei aveva riconosciuto un bambino, senza che nessuno le dicesse nulla.

Ho riflettuto sul fatto che non sono i nostri occhi a non vedere. Impossibile non vedere.

Una bambina di tre anni, scevra da ogni ideologia o discorso sull’aborto, libera da ogni condizionamento (non le avevo mai spiegato, per esempio, che quello era un “bimbo in pancia” – usando per prima io quella parola – e lei non aveva idea della provenienza dell’oggetto), aprendo un cassetto, ha potuto da sola riconoscere “un bambino”.

Gli occhi vedono. A tre mesi, nel grembo materno, c’è un bambino. Punto. Oggi posso affermare: “Lo sa anche una bimba di tre anni”.

Questo mi ha fatto pensare che l’aborto non nasce dall’ignoranza, in molti casi (i medici abortisti sanno benissimo come è fatto un feto). L’aborto è conseguenza di costruzioni mentali, di paure, di fatica ad assumere delle responsabilità che un figlio richiede.

Il punto non è riconoscere che lì ci sia di fatto un bambino, ma riconoscere che quel bambino ha già gli stessi diritti di sua madre e di chiunque altro, anche se non è ancora venuto alla luce.

Il punto è voler ammettere che, se nel grembo materno c’è un bambino e i bambini non sono “proprietà dei genitori”, servono politiche che tengano in equilibrio le ragioni della donna e del nascituro.

Questo, però, non si può dire. È politicamente scorretto. La legge italiana è ritenuta obsoleta (anche da chi non l’ha letta) perché non riconosce l’aborto come un “diritto fondamentale” della donna.

Di più: via i pro-vita dai consultori, anche, se lungi dal regalare statuine per colpevolizzare offrono alternative a chi le vorrebbero, ma non ne vedono.

Chissà se lo sguardo limpido, non giudicante, non politicizzato, dei bambini, può aiutare. Non lo so, ma voglio credere di sì, per questo racconto l’episodio che ho vissuto.

“Eppur si muove”, diceva Galileo, quando tutti lo obbligavano a tacere la verità appena scoperta sulla Terra.

“Eppure è un bambino”, sussurro io (pur essendo molto meno intelligente di Galileo) vedendo giocare mia figlia con il suo nuovo bambolotto.




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Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

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