A chi spetta trasmettere valori ai ragazzi? L’importante ruolo della scuola

25 Settembre 2024

Foto: Unsplash

Dopo la prima puntata di XFactor, il giudice Jake La Furia, alla domanda sulla scorrettezza del linguaggio del rap, che influenzerebbe negativamente i giovani, ha risposto: “Sono le famiglie – non noi – a dover insegnare certi principi”. Chiaro? E menomale che ha dimenticato la scuola! Insomma, tutti si sentono liberi di dire, scrivere, fare, turpiloquiare. Tanto spetta sempre agli altri trasmettere valori, ma gli altri… chi?

E così scopro di essere stato mandato al fronte più difficile! A dire il vero, lo pensavo già da un po’ di anni, osservando il mondo dalla cattedra, ma adesso arriva una specie di conferma. Nei giorni in cui è iniziato il nuovo anno scolastico per gli alunni di tutta Italia, i grandi giornali hanno scomodato i massimi pensatori per affrontare il tema (non voglio dire “problema”) della formazione scolastica. Sì, lo so, tutti ne parlano spesso da lontano e con poca pertinenza, ma questa attenzione ha qualcosa di diverso. 

Si sono mossi Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera e Massimo Cacciari dalle pagine de La Stampa. Ha proseguito, tra gli altri, Antonio Socci dalle pagine di Libero. 

I più attenti tra i lettori avranno ravvisato le differenti sfumature delle posizioni politiche dei tre giornali. Perciò è significativo il momento che stiamo vivendo attorno al capezzale della scuola ritenuta malata e “semper reformanda”.

La scuola è malata? Ecco la prima grande domanda che mi sovviene. A sentire gli intellettuali che si sono cimentati, i sintomi ci sarebbero tutti.

Per Massimo Cacciari occorre anzitutto “liberare la politica scolastica italiana da lacci a lacciuoli che la soffocano” con “adempimenti burocratici di ogni tipo, formulari, schede, ciarpame metodologistico e pseudo-tecnico che soffocano l’autentica didattica. Quella fondata su contenuti reali, autori, testi”.

D’altro canto, Galli della Loggia individua un urgente bisogno del Governo italiano: “un grande progetto di ripensamento e di rilancio dell’intero ambito dell’istruzione di ogni ordine e grado, dalla scuola materna fino all’università e ai grandi istituti di ricerca”. Come rispondere a questo urgente bisogno, non è molto chiaro. Entrambi, comunque, pensano che si debba intervenire sui docenti, sulla qualità dell’insegnamento: eccoci arrivati intorno alla cattedra, dunque.

Si spinge un poco oltre Antonio Socci, secondo cui: “il cuore della scuola sta tutto nella capacità di far scoccare la scintilla che appassiona al vero, al bene e al bello. C’è una frase (attribuita ad autori diversi) che viene spesso citata: educare non è riempire un secchio, ma accendere un fuoco. Concetto giusto, ma anche generico (quale fuoco?).”

L’insegnante, dunque, non è un pompiere, ma un incendiario. Deve accendere un non meglio esplicitato fuoco. E cosa dire poi per meglio comprendere il bene, il vero ed il bello? Il bene è sempre più differenziato a causa dell’individualismo. Il vero è da un po’ di tempo oscurato da quel grande generatore di fake che ormai sono diventati i social per cui non è vero ciò che è vero, ma per molti alunni (ma non solo!) è vero ciò che gira in rete. Il bello, invece, è completamente esploso in una pletora di “secondo me” che lo rendono addirittura inutile. 

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Ricordate il motto “non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace”? Era solo l’inizio di quella frantumazione che ha portato alla creazione di circa 8 miliardi di fragili idee del bello facilmente offuscate dalla massificazione di un tik toker qualunque. Come fare scuola in questo mondo?

La scuola, spesso lo si dimentica, vive nel mondo ed è permeata dal mondo. Vuoi vedere che forse il malato è il mondo? Un mondo popolato da una moltitudine di liberi pensatori che non si assumono la responsabilità delle conseguenze delle proprie idee e azioni. Un esempio? Eccolo, recentissimo. Reduce dal buon risultato in termini di ascolti riscosso dalla prima puntata di XFactor, trasmissione in cui funge da giudice, Jake La Furia, alla domanda sulla scorrettezza del linguaggio del rap ha risposto nella maniera più ovvia e facile possibile: «Se pensiamo all’ipotetica influenza negativa sui giovani allora bisogna abolire i film d’azione, certa letteratura fantastica, il pulp e un sacco di altre cose. Sono le famiglie – non noi – a dover insegnare certi principi». 

Chiaro? E menomale che ha dimenticato la scuola! La risposta avrebbe potuto anche essere: deve essere la scuola! Insomma, tutti si sentono liberi di dire, scrivere, fare, inventare, inveire, turpiloquiare. Tanto spetta sempre agli altri trasmettere valori.

Gli altri chi?

Chi comincerà a curare e tentare una cura? Nessun medico darà una cura ad un malato che non si ritiene tale. Se il mondo e, con esso la scuola che ne è una parte, non ritiene di aver bisogno di qualche ritocco, nessuna cura sarà utile ed efficace.

Saranno allora i docenti? E a nome di chi? In nome di quale valore condiviso? Ne esiste ancora qualcuno? La scuola stessa sta cessando di essere un valore. Sempre più persone la ritengono un inutile retaggio di un passato fatto di conoscenze che si trasmettono. 

Oggi viviamo nel tempo del nuovo ma strano che attira e che non sempre è utile o fa bene. Cosa deve fare un docente, allora? Aiutare ad attivare competenze? Certo. Accompagnare la formazione di giovani coscienze? Complicatissimo e quasi utopico. 

I docenti, ma non solo loro, sono spesso costretti ad agire da soli, indifesi, trovandosi al fronte sul confine tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere, tra lo sbagliato ed il modello nuovo, tra la responsabilità e il menefreghismo, tra coloro che guardano la realtà e la condannano (e basta) e coloro che vogliono intervenire per migliorarla. Al crocevia di una realtà che deve imparare a guardarsi dentro per scoprirsi fragile e bisognosa di un aiuto. 

Dalla cattedra scorgo sempre più persone in difficoltà le quali, tuttavia reagiscono con manifestazioni che sempre più sfociano nell’aggressività che odora di armatura difensiva. 

La mancanza di fiducia tra famiglie e scuola diventa, in questo clima, solo un sintomo di un malessere sempre più diffuso. In questo mondo, tra l’altro, funestato da eventi bellici ad un’ora di volo da casa nostra (altro sintomo di una malattia ben più diffusa di quanto si creda) iniziamo un altro anno scolastico. In attesa di un’alleanza nuova, motivata, profonda tra gli attori che girano intorno alla cattedra, navighiamo a vista in attesa di un valore che sia realmente condiviso da tutti. 

L’unica cosa che comincia a trovarci d’accordo, per adesso, un certo allarmismo verso ciò che sarà. Cerchiamo di tirare fuori il meglio da noi stessi e dagli altri. In attesa di tempi migliori.




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Piero Del Bene

Sposo, padre, insegnante di matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado. Catechista e formatore. Dopo la laurea in Matematica ha conseguito il Master in scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Con la moglie Assunta si occupano di Pastorale Familiare.

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