MATRIMONIO CRISTIANO

“E voi, chi dite che io sia?”: rispondere come sposi cristiani a questa domanda di Gesù

Foto: Unsplash

Pochi giorni fa, parlavo con un’amica, che sta pensando di andare a convivere. Ho accolto la sua confidenza con rispetto, pur dicendole ciò che pensavo.  Mi ha detto: “Voglio sposarmi, ma se mi sposo prima o dopo, cosa cambia? Io faccio sul serio, lui fa sul serio…”. Se togliamo la centralità del sacramento, non è chiaro perché si debba “attendere il matrimonio” per formare una famiglia…

C’è un passo del Vangelo in cui Gesù invita gli apostoli a dichiarare chi è Lui per loro. Vediamo insieme il brano, riportato dall’evangelista Marco (8, 27-30):

“Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: «Chi dice la gente che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti». Ma egli replicò: «E voi chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo»”.

L’evangelista Marco mette in evidenza il fatto che “la gente” non conosce particolarmente bene Gesù, ne ha sentito parlare, forse, ma non ha intrapreso un cammino alla sua sequela. E quindi può farsi un’idea sbagliata di Gesù, o se non altro sommaria; può scambiarlo persino per qualcun altro.

Loro, invece? I discepoli più intimi, che lo seguono in tutto e per tutto, che mangiano, che bevono, che camminano insieme a Lui, cosa pensano? Cosa hanno capito? Chi è Gesù per loro?

Mi piace leggere questa domanda in chiave coniugale.

Mi piace pensare che Gesù, oggi, rivolga questo interrogativo proprio a noi sposi cristiani, a noi che ci siamo sposati in Chiesa non per l’abito bianco, non per la location, non per fare contenti i nonni, ma perché volevamo realmente invitare Gesù alle nostre nozze.

Chi diciamo che Lui sia? Cosa pensiamo possa fare per noi e per il nostro matrimonio?

Pochi giorni fa, parlavo con un’amica, che sta pensando di andare a convivere. Ho accolto la sua confidenza con rispetto, pur dicendole ciò che pensavo. 

Mi ha detto: “Voglio sposarmi, ma se mi sposo prima o dopo cosa cambia? Io faccio sul serio, lui fa sul serio…”

Se togliamo la centralità del sacramento, non è chiaro perché si debba “attendere il matrimonio” per formare una famiglia.

Se noi siamo gli stessi, prima e dopo le nozze, se a decidere siamo solo noi, ovviamente in coppia, se l’amore che ci scambiamo è “il nostro”, se i progetti si fanno essenzialmente in due (forse con i consigli di parenti e amici), non è quasi lo stesso farli da conviventi o da sposati civilmente? Cosa “aggiunge” un matrimonio cristiano? Magari si crede e, quindi, si desidera un matrimonio in Chiesa. Di fatto, però, non lo si vede come essenziale. Non è visto come il primo mattoncino da mettere.

Tutto cambia, però, se due fidanzati riconoscono che il matrimonio non è solo opera loro, ma risposta ad una vocazione

Se riconoscono che Cristo precede nell’amore gli sposi, che ama il nostro amato più di noi e ci chiede di amarlo per Lui, nel suo nome.

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Tutto cambia se ammettiamo che il “per sempre” non ci appartiene, non è cosa umana, ma ci viene regalato da Dio.

Tutto cambia se la casa dove abiteremo non sarà solo il tetto della nostra famiglia, ma si trasformerà in una chiesa domestica, chiamata a generare amore per la comunità intera, nello Spirito Santo.

Cambia se ci riconosciamo apostoli, missionari, fecondi come sposi, in seno ad un unico corpo, quello di Cristo. 

Il sacramento del matrimonio non è un abbellimento, ma il sostegno divino ai nostri fragili propositi.

È ciò che rende eterno un amore che vive e si sviluppa nel tempo.

Le persone, però, guardandoci non devono sentirsi giudicate. Perché “noi siamo sposati” e loro no.

Non si tratta di guardare “gli altri” con superiorità. 

Le persone, soprattutto i fidanzati, attraverso la nostra testimonianza, i nostri gesti, devono vedere che Gesù chiama anche loro alla pienezza dell’amore. Chiama anche loro a diventare missionari di un Amore più grande, che il sacramento dona e custodisce.

Allora, non perdiamo tempo a giudicare chi non ha ancora conosciuto il Messia. Chiediamoci, piuttosto, se gli altri, guardandoci, possono capire che il Messia abita in noi.

Guardando al nostro matrimonio, i giovani possono desiderare un rapporto in Cristo?

Guardando al nostro matrimonio, facciamo sentire la sana nostalgia di avere una famiglia cristiana?

Ci preoccupiamo molto di chi sia Gesù per gli altri, per il mondo, sempre più digiuno, almeno in Europa, del Vangelo, ma noi, sposi cristiani, chi diciamo che Egli sia? Se abbiamo una fede al dito e ci siamo accolti in Cristo, è nostro dovere chiedercelo: che posto ha Gesù nel nostro matrimonio?

Forse è il tempo di evangelizzare semplicemente recuperando noi il nostro rapporto con il Signore. Forse è il tempo di diventare testimoni con la vita più che con le parole: rendiamo visibile la presenza di Gesù in noi. 




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Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

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