EDUCAZIONE

Strage di Paderno Dugnano: aiutiamo i giovani a tirar fuori le emozioni

Non molto tempo fa, un’amica psicoterapeuta mi disse: “Uno dei grandi problemi delle nostre relazioni familiari, di coppia, amicali, è che si muovono su un piano superficiale. Ci si parla, magari, ma di cose che non riguardano l’intimo, l’interiorità. Non sappiamo chiederci ‘Come stai?’ e poi metterci seriamente in ascolto della risposta…”

“È importante questo: – continuava – imparare a tirare fuori le nostre emozioni con qualcuno e mettere l’altro nelle condizioni di farlo. Perché ognuno di noi ha un mondo interiore che ha bisogno di venire fuori. Se non si trova il giusto contesto per esprimersi, se non si trova un terreno accogliente, se questo mondo interiore resta nascosto con tutti, ci si può sentire disperatamente soli anche in mezzo a tanta gente”.

Ascoltando queste parole, ormai qualche anno fa, pensavo: “Sta a me, genitore, ‘sdoganare’ questo tipo di dialogo, profondo, con i miei figli. Sta a me renderlo così naturale che, quando ci sarà un problema grande, loro sapranno di poter tirare fuori qualunque cosa, anche le chimere che più li spaventano, anche le sensazioni, i pensieri di cui più si vergognano. Ogni giorno ripeto ai miei figli che possono dirmi veramente tutto, che non devono avere paura e che voglio aiutarli, senza farli sentire giudicati per ciò che li attraversa.

Eppure, ogni giorno mi chiedo se sia abbastanza. 

Mi domando se, al di là delle parole che dico, il mio tempo di qualità e il mio modo di pormi, siano di fatto adeguati e sufficienti perché essi si possano aprire fino in fondo. E spesso prego Dio di supplire alle mie mancanze, di colmare in loro il vuoto che, forse, senza volerlo, sto lasciando io.

Di una cosa sono certa: tante volte, i genitori non sanno ciò che passa nella mente e nel cuore dei loro ragazzi e non necessariamente perché siano assenti o distratti, ma perché l’altro – compreso il figlio che abbiamo generato – resta un mistero. 

I ragazzi, poi, per imbarazzo, si possono chiudere ermeticamente. Se fanno fatica ad aprirsi in generale, tanto più penseranno di non poter dire a nessuno che hanno “pensieri di morte” e “istinti omicidi”, come ha dichiarato Riccardo, dopo la tragedia.

Come sarebbe andata se avesse trovato qualcuno di fiducia nella sua crescita, al punto da sentirsi libero di aprirsi prima di dare sfogo in quel modo al suo disagio?

Nessuno di noi, comodamente seduto dietro ad una tastiera, conosce a pieno la situazione di questo giovane o può dire come fossero i suoi legami familiari. Nessuno, da lontano, senza essersi calato in quella storia e in quella fragile mente, può dare una spiegazione adeguata alla tragedia che ha visto questo ragazzo protagonista.

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Troppo facile emettere giudizi e sentenze verso questi genitori, che sicuramente non hanno colto dei segnali, ma che probabilmente, nel modo in cui potevano, con le risorse che avevano, hanno cercato di esserci per il loro ragazzo.

Cerchiamo, invece di giudicare, di chiederci cosa fare perché certe tragedie non si verifichino più. Cerchiamo il modo per far sentire meno soli i nostri ragazzi.

Facciamoci prossimi veramente dei ragazzi che incontriamo, anche come insegnanti e educatori. Cerchiamo di meritare la loro fiducia, di farli sentire guardati personalmente, così da aiutarli ad aprirsi soprattutto nel momento del bisogno. 

Quante confidenze “inconfessabili” si possono ricevere in qualità di catechisti e di insegnanti, se i giovani capiscono che “di te si possono fidare”, che li prendi sul serio, che non ti interessi solo del programma da svolgere, ma prima di tutto di loro!

Creiamo situazioni in cui i ragazzi possano codificare e dare un nome alle emozioni. Creiamo relazioni che li facciano sentire al sicuro e non estranei con noi.

E poi, ultimo ma non per importanza, insegniamo loro che il diavolo esiste, che c’è un combattimento spirituale da fare perché, se Dio ci ispira il bene, il nemico vuole sfruttare le nostre debolezze per farci peccare. Sfrutta la solitudine, la fragilità, la disperazione per trasformarci in ciò che non avremmo mai pensato di diventare. 

Il diavolo lavora, lavora, lavora, giorno e notte, senza stancarsi mai. Gli “interessa” – solo per distruggerlo – il cuore di ognuno di noi. 

Sapere che è lui il male assoluto e non noi, sapere che c’è ed è il “padre della menzogna”, che farà di tutto per riempirci di bugie, come quella che ci sentiremo più “liberi” dopo aver ucciso, che ha come compito quello di rovinarci e di distruggerci, ci aiuterà a vigilare sul nostro cuore, a non sentirci un tutt’uno con i nostri pensieri, a sapere che alcuni di essi vengono dal Male, dal Maligno, che vuole tirarci dentro la sua voragine di morte.

Abbiamo sentito parlare di “salute mentale” e “psicologi” in ogni notizia che riguardasse questa tragedia, ma poco si è parlato di “salute spirituale”. Eppure, quanto più sei in comunione con Dio – come ci insegnano i santi, per dirne uno, Carlo Acutis – tanto più il diavolo è “neutralizzato”, le tentazioni si dissipano, perché la grazia prende il posto del buio.

Insegniamo ai giovani tutto questo. 

Qualcuno mi ha detto che, parlando del diavolo, spavento i miei figli. Non sono d’accordo: nei termini in cui possono capire, devono sapere che la loro anima ha un nemico, qualcuno che tenterà di portarli sempre più giù. Qualcuno che cercherà di isolarli per poter approfittare della fragilità che deriva dall’essere soli.   

Nei giornali ora rimbalza la notizia che Riccardo ha chiesto di confessarsi al cappellano del carcere minorile dove si trova.

Non sappiamo, ovviamente, cosa sia avvenuto in quel momento. 

Non sappiamo se fosse qualcosa che faceva già in passato o se ne abbia sentito l’esigenza solo adesso. Non sappiamo con quanta consapevolezza vi si sia accostato, dopo il plurimo omicidio. Sappiamo solo che il diavolo tenta tutti, mentre Dio non rifiuta nessuno. 

Sappiamo che il demonio vuole inghiottire i nostri giovani, vuole far credere a Riccardo e a noi che lui ha vinto ha in questa storia, ma noi sappiamo che non è così. 

Dio è sempre pronto – qualunque cosa abbiamo fatto! – a tirarci fuori dal buco nero. 

Dio vince anche sul male che sembra senza rimedio, come stavolta, perché, dopo aver attraversato la palude del peccato più torbido, vittorioso risorge.

Preghiamo perché la Risurrezione illumini anche questa vicenda, che inevitabilmente ci ha lasciato sgomenti e impauriti. 

Preghiamo che questo giovane, proprio come la pecorella smarrita, sia risanato e, dopo aver fatto seriamente i conti col suo vissuto, non vada perduto.




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Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

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