Le vacanze estive possono essere un tempo di guarigione. Bisogna guarire da cosa? Dalla frenesia, dalla corsa, dall’efficientismo pensando che, se sono bravo ad incastrare tutto: lavoro, figli, casa, bollette, conti in banca, palestra, parrucchiere ed estetista allora nella nostra vita va tutto bene. Ci sentiamo in una botte di ferro. Non che sia sbagliato si intende impegnarsi in tutte queste cose, far quadrare i conti e gestire la piccola azienda che è la famiglia. Ma ciò che è davvero importante è il tempo delle relazioni, la qualità delle relazioni, la profondità delle relazioni. Perché sono quelle che danno veramente gioia, felicità, serenità.
Inutile vivere in un castello dorato quando ho pessime relazioni con il mio sposo, la mia sposa, con i figli, i fratelli, i colleghi di lavoro… Bene, il tempo delle vacanze è un’ottima opportunità per ripensare allo spessore delle nostre relazioni e adoperarci senza fermarsi all’analisi ma dedicando tempo ed energie a rafforzare, migliorare, intensificare la qualità delle nostre relazioni.
Se io vi chiedessi: quali sono le relazioni più significative della vostra vita? Quelle che determinano in profondità i sentimenti di gioia o di tristezza, di rabbia o di serenità? La vostra risposta sarebbe immediatamente quella con mio marito, mia moglie, i miei figli, i miei fratelli o le mie sorelle di comunità nel caso di consacrati e ordini religiosi? Perché, se non fosse così allora la vacanza sarebbe innanzitutto il tempo per una verifica attenta proprio di queste relazioni significative.
Viviamo in un tempo di atarassia, di indifferenza o di paura smisurata. Terreno fertile dove cresce il cinismo, l’individualismo, la corsa al piacere momentaneo, all’emotività smisurata. Questa ricerca spasmodica di emozioni superficiali denota un’incapacità di scendere in profondità, di farsi le domande giuste e di aiutare anche i nostri figli e porsi i giusti quesiti, ad affrontare con coraggio la vita vera. Oggi c’è l’elogio della fragilità che, se significasse solo accogliere e difendere i più deboli, a tirare fuori la bellezza della diversità sarebbe splendido e invece stiamo condannando i nostri figli a crescere spaesati perché senza punti di riferimento, senza mancanze che fanno crescere.
Che fare? Fermarsi, riflettere, cercare di avere un progetto comune, parlarne, confrontarsi con altri genitori.. Insomma in poche parole ribellarsi all’indifferenza e alla paura di non essere in grado. Il tempo delle vacanze ci offre una grande possibilità di sosta. Se noi programmiamo tutte le ferie, che si sono notevolmente ridotte rispetto a qualche decennio fa, cercando di anestetizzare l’anima, “non voglio pensare a nulla”, “voglio lasciare i problemi a casa”, “divertirmi senza sosta”, “staccare la spina”. Tutte espressioni che denotano una stanchezza fisica da voler superare ma la stanchezza dell’anima, quella più profonda come si combatte? Ritrovando le ragioni per cui ogni giorno mi impegno nel lavoro, nell’accudire la mia famiglia, nel cucinare, lavare, stirare, nel lasciarmi aiutare se per caso vivo una condizione di malattia o di disabilità, nell’essere padre e madre. Anche nel servizio ecclesiale che compio o nella carità. Bisogna sempre trovare un motivo per dare la vita.
Mettiamo a fuoco. I ricordi, le parole, le esperienze… Personalmente ho dei ricordi stupendi delle mie vacanze estive e devo dire che quelle più belle non sono legate ai posti o alle spiagge che ho visitato ma alle persone che sono legate a questi ricordi. Le estati trascorse dai miei nonni in campagna, a giocare con i miei cugini, quelli legati a cantare canzoni nella pineta con il mio papà, i ritiri spirituali estivi con il mio parroco durante l’adolescenza e la giovinezza, i giorni trascorsi con mio marito e mio figlio nelle casette in riva al mare…e poi il fruttivendolo, il salumiere con il quale fare due chiacchiere e che ad ogni estate diceva alla mamma quanto eravamo cresciuti.
Quanto sono lontani quelle immagini dalle corsie dei supermercati dove si corre tra un carrello e l’altro senza il tempo di guardarsi negli occhi o di salutarsi. Qualche volta ripasso tra quei vicoli che hanno segnato la mia infanzia o percorro il viale dove si trovava il giardino di mia nonna che adesso è stato sostituito da una falegnameria per vedere se sento ancora l’odore degli alberi di arancio che mi rinfrescavano nelle torride giornate estive. Cose semplici. Se chiudiamo gli occhi per un istante sono certa che ognuno di noi possa ripescare le immagini e persino gli odori di quei giorni di grazia.
Il Caffè sospeso...
aneddoti, riflessioni e storie di amore gratuito …quasi sempre nascoste.
Il caffè sospeso è un’antica usanza a Napoli. C’è chi dice che risale alla Seconda Guerra Mondiale per aiutare chi non poteva permettersi nemmeno un caffè al bar e c’è chi dice che nasce dalle dispute al bar tra chi dovesse pagare. Al di là delle origini, il caffè sospeso resta un gesto di gratuità. Nella nuova rubrica che apre l’anno 2024, vorrei raccontare storie o suggerire riflessioni sull’amore gratuito e disinteressato. Quello nascosto, feriale, quotidiano che nessuno racconta, che non conquisterà mai le prime pagine dei giornali ma è quell’amore che sorregge il mondo, che è capace di rivoluzionare la società dal di dentro. Buon caffè sospeso a tutti!
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Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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