Hannah Arendt avverte: se tutto è indifferente, si spiana la strada alle ideologie

18 Luglio 2024

Foto derivata da: Barbara Niggl Radloff, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

“Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più”. La filosofa Hannah Arendt mette in guardia da un pericolo che riguarda le società di ogni tempo. Non è necessario essere mostri assetati di sangue per propagare ideologie di morte.

«Le ideologie ritengono che una sola idea basti a spiegare ogni cosa nello svolgimento dalla premessa, e che nessuna esperienza possa insegnare alcunché dato che tutto è compreso in questo processo coerente di deduzione logica». 

«Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più».

Stavolta non una, ma due citazioni, però dalla stessa opera, pubblicata nel 1951: Le origini del totalitarismo di Hannah Arendt, la filosofa allieva di Martin Heidegger (figura controversa per certe iniziali simpatie verso il nazismo). 

Nata in Germania ad Hannover, la Arendt (1906-1975) fu costretta dalle persecuzioni antiebraiche a fuggire dapprima a Parigi e poi negli Stati Uniti, dove insegnò all’università e pubblicò i suoi libri principali, tra cui ricordiamo almeno Vita activa, opera tutta giocata sulla difesa dell’uomo e della sua libertà contro ogni conformismo e oppressione sociale.

Tra il 1960 e il 1962 seguì a Gerusalemme, per conto del settimanale “New Yorker”, il processo contro Adolf Eichmann, l’organizzatore del trasporto degli Ebrei nei campi di sterminio. Il reportage si trasformò in un libro azzeccatissimo sin dal titolo: La banalità del male (1963).

Spirito libero e anticonformista, di idee progressiste, la Arendt evitò sempre le scorciatoie dei luoghi comuni, cercando – attraverso un uso ostinato della ragione – di cogliere l’essenza dei fatti e dei comportamenti umani. L’avere, per esempio, denunciato il taglio ideologico del processo ad Eichmann le procurò non pochi guai presso le diverse intellighenzie dei Paesi occidentali; effetto analogo provocò la presentazione di un Adolf Eichmann, non mostro assetato di sangue, ma grigio burocrate dello sterminio e uomo appunto “banale” nei comportamenti sociali e familiari. 

Nei due passi sopra citati vediamo brillantemente esposte due delle idee forza di Hannah Arendt. 

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Nel primo il rifiuto dell’ideologia, poiché “una sola idea” non basta mai a spiegare una realtà, essendo infatti sempre necessaria la fatica del ragionamento e della messa in discussione delle certezze apparenti o, comunque, non criticamente elaborate.

Nel secondo la necessità razionale, oltre che etica, di distinguere il bene dal male: se tutto è indifferente, ecco spianata la strada agli Hitler e agli Stalin. Ed è più di una curiosità che questo passo sia stato citato dal presidente Sergio Mattarella ricordando la Shoà nel Giorno della Memoria 2017.

Non crediamo che il nostro Occidente sia al riparo da certi pericoli. Oggi assistiamo infatti non solo alla “dittatura del relativismo” di cui parlava papa Benedetto XVI, ma anche a quella del politically correct e della cancel culture (Un esempio? La decapitazione a Boston della statua di Cristoforo Colombo, “persecutore” dei nativi…). Un tema, questo, su cui ritorneremo, e a proposito del quale l’insegnamento di Hanna Arendt rimane attualissimo.




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Gianni Mussini

Gianni Mussini, quinto di otto figli, è nato a Vigevano nel 1951. Laureato a Pavia, alunno dell’Almo Collegio Borromeo fondato da san Carlo (e citato da Manzoni nei Promessi sposi). Docente di Lettere (da ultimo al Liceo classico “Ugo Foscolo”), ha anche insegnato per 12 anni alla Scuola interuniversitaria lombarda per la formazione degli insegnanti. Autore di due libri di poesia (tra cui Rime cristiane eccellentemente recensito dal Corriere della sera e da Avvenire) e di molti studi ed edizioni specialmente sul poeta Clemente Rebora, ma anche su altri autori (tra cui Jacopone da Todi, Cesare Angelini, Manzoni), per Garzanti, Scheiwiller, Piemme, De Agostini, Storia e Letteratura. Ha collaborato a testi scolastici (La Scuola, Le Monnier, De Agostini) e raccolto in volume testimonianze di Vite salvate (Interlinea, Novara, con prefazione di Claudio Magris), ora moltiplicate nel volume Donne in cerca di guai, uscito nel 2018. Per 8 anni è stato presidente dei Centri di aiuto alla vita della Lombardia e per 12 vicepresidente nazionale del Movimento per la vita. Dal 2005 al 2012 ha invece presieduto il Consultorio familiare onlus di Pavia (dedicato al servo di Dio Giancarlo Bertolotti), del quale è stato fondatore. Ha organizzato diversi convegni, nazionali e internazionali, sui temi della vita e della famiglia, e anche corsi di aggiornamento, anche letterari, rivolti a insegnanti. Per 17 anni ha infine organizzato il Festival nazionale “Cantiamo la vita”, con la partecipazione di ospiti di fama internazionale. Last not least. È sposato con Maria Pia, e con cui ha generato Cecilia, Giacomo e Lorenza.

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