Nella mia vita ho avuto la grazia di sedermi molte volte per ascoltare il dolore degli altri. Spesso o quasi sempre non ho soluzioni o parole da consegnare per lenire la loro sofferenza e come un corriere consegno i pacchi mettendoli ai piedi di Colui che è l’unico in grado di donare pace. 

Il cuore dell’altro è uno spazio sacro. Non mi sognerei mai di violare o violentare le coscienze di qualcuno. Tuttavia, quando ho scelto di fare la giornalista – come ministero più che come professione – mi sono anche detta che lo stile che avrei utilizzato è quello che Francesco di Sales, patrono di quelli che hanno scelto lo scellerato mestiere, consegna a Filotea nell’Introduzione alla vita devota: “È carità gridare al lupo quando si nasconde tra le pecore, non importa dove”. Se questa è una regola generale quando si tratta di vita nascente vale sette volte sette.

Qualche anno fa ho ritrovato un’amica che non vedevo da tempo. Si era sposata già da dodici anni ma lei e il marito non avevano avuto figli. Dopo alcuni tentativi di monitoraggio e di stimolazione ormonale, in accordo con il suo ginecologo, erano approdati alla Fivet. Due tentativi falliscono. Conseguenze in termini emotivi e psicologici, devastanti. Conseguenze in termini economici, dispersione di tutti i risparmi di una vita. Il terzo tentativo, l’ultimo, va a buon fine. Nasce una splendida bambina. La sua mamma ha 45 anni, il suo papà 52. Gli embrioni sacrificati alla causa “29 mi sembra…” mi confida la mia amica come un’informazione del tutto marginale.

L’interrogativo a questo punto è legittimo: se la scienza lo permette, perché non cercare di esaudire il desiderio di questa coppia così sofferente? A partire da questa domanda e dal senso di smarrimento che ho visto in tante coppie, raggiunte dalla diagnosi di sterilità come una condanna a morte, e cosciente che purtroppo spesso questo dolore è utilizzato da correnti ideologiche ed interessi economici per raggiungere fini propri, propongo di fare uno sforzo per capire perché la Chiesa dice no alla fecondazione extracorporea.        

Nel bailamme di lotte per i diritti da acquisire, in questa corsa all’autodeterminazione in cui ciò che conta è ciò che è bene per me e la mia vita, dove tutto è asservito al desiderio, si abbia il coraggio di sedersi e di riflettere, di ricercare la verità sull’uomo che è già scritta in ognuno di noi, di pensare seriamente alle conseguenze di alcune scelte. Ma mi accorgo che siamo in fila per presentare la nostra offerta al Tempio dei desideri realizzabili e non è ammesso tornare a casa senza il premio sperato. Con la differenza che un figlio non è un premio o una cosa da avere a tutti i costi e – non è banale dirlo – ci sono centinaia di bambini in attesa di una mamma e di un papà.