146.000 anni fa in una grotta di Cova Negra in Spagna, viveva un bambino o una bambina con sindrome di Down con la sua mamma. Entrambi sono stati accuditi dalla comunità che viveva con loro. L’importante scoperta è stata fatta da un team di scienziati guidati dall’antropologa Mercedes Conde Valverde dell’Università di Alcalá che ha individuato un frammento appartenuto a un ominide: un pezzo di osso temporale dalla base laterale del cranio che include parti anatomiche dell’orecchio interno con una serie di caratteristiche tipiche delle persone con sindrome di Down, come la riduzione della coclea, essenziale per l’udito, e una serie di anomalie nei canali semicircolari, tre tubicini ricurvi che regolano il senso dell’equilibrio e la percezione della posizione del capo.
Tina – così è stata chiamata la piccolina dagli scienziati – aveva secondo questo studio pubblicato su Science Advances, serie difficoltà di udito e deambulazione; inoltre per le sue caratteristiche vestibolari doveva soffrire di vertigini quando stava in piedi. Eppure, Tina è arrivata fino all’età di sei anni in un’epoca in cui superare l’infanzia, anche senza bisogni speciali, era tutt’altro che scontato. La scoperta conferma l’esistenza di comportamenti altruistici e compassionevoli nei Neanderthal. E questa umanità mi commuove se penso invece che oggi questi bambini speciali vengano soppressi ancora prima di vedere la luce. La vita vale se è efficiente e produttiva e risponde ad alcuni canoni estetici. Non la pensavano così i nostri antenati evidentemente.
Ho conosciuto molte famiglie nel mio lavoro con esperienze di figli con la sindrome di Down. Non mi hanno mai nascosto le difficoltà oggettive e le loro paure. Tuttavia, in tutte ho sempre trovato una grande scelta d’amore, una gioia, una gratitudine per questi figli speciali. Inutili fare retorica sull’argomento, i giornali potrebbero dare più spazio alle storie. Far sentire meno soli i genitori di fronte alla notizia di una diagnosi prenatale di Trisomia 21 dei loro bambini in viaggio verso la vita. Invece c’è un silenzio assordante. Ed è per questo che oggi vorrei dare spazio ad una mamma, Angela.
“Non mi sento di esprimere giudizi verso chi decide di abortire, né verso chi opta per l’abbandono post nascita. Entrambe le scelte dolorosissime nascondono, probabilmente, ragioni ignote. Un bambino con un cromosoma in più, tuttavia, non ha soltanto gli occhi a mandorla e un ritardo generale, possiede qualcosa che va al di là dell’umana conoscenza, lo dico da madre di un bambino con sindrome di Down.
L’ho scoperto il giorno in cui è nato. Non sapevano come dirmelo. È stato un duro colpo: sei in bilico tra la gioia della nascita e la consapevolezza di uno stato di cose immutabile. Ti chiedi cosa sarà di lui quando tu non ci sarai più a proteggerlo? Quando si troverà da solo in una società totalmente incapace di prendersene cura. Poi l’ho preso in braccio. L’ho stretto a me e in quel dialogo di sensi tra madre e figlio, ho perso ogni paura e ho ritrovato soltanto la gioia. Il mio bambino è la cosa più vicina al Cielo che io abbia mai visto”.
Facciamo passi avanti nel progresso ma decisamente passi indietro di milioni di anni in cura e vicinanza sopraffatti dall’egoistico pensiero, che si traduce in concrete azioni, che la felicità consista nell’essere sani.
Il Caffè sospeso...
aneddoti, riflessioni e storie di amore gratuito …quasi sempre nascoste.
Il caffè sospeso è un’antica usanza a Napoli. C’è chi dice che risale alla Seconda Guerra Mondiale per aiutare chi non poteva permettersi nemmeno un caffè al bar e c’è chi dice che nasce dalle dispute al bar tra chi dovesse pagare. Al di là delle origini, il caffè sospeso resta un gesto di gratuità. Nella nuova rubrica che apre l’anno 2024, vorrei raccontare storie o suggerire riflessioni sull’amore gratuito e disinteressato. Quello nascosto, feriale, quotidiano che nessuno racconta, che non conquisterà mai le prime pagine dei giornali ma è quell’amore che sorregge il mondo, che è capace di rivoluzionare la società dal di dentro. Buon caffè sospeso a tutti!
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