Aveva 35 anni Mario ed era del mio paese, la cittadina dove lavoro, dove abbiamo cresciuto nostro figlio, dove abitano la maggior parte dei miei amici. È morto dissanguato sul ciglio della strada, a pochi metri dalla sua abitazione nella notte tra sabato e domenica. Lì sarebbe rimasto agonizzante per diverso tempo. Mario faceva uso di droga secondo quello che dicono i giornali. Molti lo conoscevano perché girava per la città e frequentava i locali della movida angrese nel centro storico. L’aggressione forse è arrivata al culmine di una lite in uno di questi locali. Per gli investigatori l’uomo sarebbe stato colpito più volte con una mazza da baseball che è stata sequestrata assieme a una pistola.
L’indignazione generale per Mario è stata enorme. Quel ragazzone rimasto a terra, incapace di difendersi, morto forse perché non soccorso per tempo, ha sconvolto tutti: “Non si può morire così”, si ribellano quelli che lo osservavano gironzolare per le strade. Non si può, eppure accade. E, un eventuale regolamento dei conti, inasprisce gli animi di chi sta a guardare. Cerchiamo un colpevole per una fine come questa. Ci deve pur essere un colpevole, per una morte così.
La morte violenta scandalizza e noi che stiamo a guardare, noi spettatori dei telegiornali che ogni sera ci rovesciano addosso più disgrazie di quante ne sappiamo fronteggiare, cerchiamo qualcuno da condannare. Pretendiamo di capire, e puntiamo il dito nella speranza di sollevarci da quel fastidioso pungolo di coscienza ben nascosto dentro di noi che soffochiamo ben volentieri.
Oggi è facile dire che in fondo “Mario era un bravo ragazzo”, che “non meritava una fine così violenta”, che “si poteva salvare” ma intanto cosa abbiamo fatto per lui quando era possibile salvarlo? Tutto avviene in una sostanziale indifferenza collettiva che si trasforma in vicinanza appena dopo la tragedia. Oggi una madre piange un figlio, una madre che stando alle dichiarazioni dell’assessore alle politiche sociali, ha cercato molte volte di strappare quel figlio dalle maglie della droga. Anche, per pochi istanti, lasciamoci trafiggere dal dolore di quella madre.
Quel dolore riapre i nostri occhi per riconoscere che intorno a noi ci sono brucianti disperazioni. Quel dolore ci deve servire almeno per imparare a vedere quello degli altri prima che si trasformino in tragedie. Quel dolore deve poter far partire una risposta educativa, sociale, familiare concreta. Che, forse la morte di Mario ci sia data anche per questo?
Il Caffè sospeso...
aneddoti, riflessioni e storie di amore gratuito …quasi sempre nascoste.
Il caffè sospeso è un’antica usanza a Napoli. C’è chi dice che risale alla Seconda Guerra Mondiale per aiutare chi non poteva permettersi nemmeno un caffè al bar e c’è chi dice che nasce dalle dispute al bar tra chi dovesse pagare. Al di là delle origini, il caffè sospeso resta un gesto di gratuità. Nella nuova rubrica che apre l’anno 2024, vorrei raccontare storie o suggerire riflessioni sull’amore gratuito e disinteressato. Quello nascosto, feriale, quotidiano che nessuno racconta, che non conquisterà mai le prime pagine dei giornali ma è quell’amore che sorregge il mondo, che è capace di rivoluzionare la società dal di dentro. Buon caffè sospeso a tutti!
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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