Il Vangelo letto in famiglia
XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B – 16 giugno 2024
Come si fa a costruire il Regno di Dio?
Dobbiamo accantonare l’idea che il Regno di Dio si costruisca compiendo opere eclatanti e clamorose, così come dobbiamo smettere di cercare Dio nelle cose grandiose. Gesù, infatti, afferma tutt’altro: è necessario ritrovare la nostra umanità per diventare automaticamente costruttori del Regno di Dio.
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 4,26-34In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
IL COMMENTO
di don Gianluca Coppola
Se osserviamo un orologio analogico, noteremo che esso è dotato di dodici segni orari e che le lancette che lo caratterizzano compiono un giro completo del quadrante due volte al giorno. Questo movimento delle lancette, effettuato per due volte nell’arco di una stessa giornata, rispecchia l’alternarsi del giorno e della notte. Tale alternanza è un precetto della natura da cui noi esseri umani non possiamo prescindere, non importa quanti progressi facciamo in ambito scientifico o tecnologico. È una regola fissa, ben precisa, che il Creatore ha stabilito nell’Universo. Dall’alternanza tra il giorno e la notte scaturisce tutta una serie di bisogni di cui l’uomo non può fare a meno: bere, mangiare, relazionarsi con gli altri, ricevere affetto e così via. Di certo, l’avvicendarsi del giorno e della notte non è l’unica regola stabilita dal Creatore: essa è inserita nel complesso insieme di altre norme che Egli ha stabilito per gli esseri umani. Tali regole sono tutte caratterizzate da una loro tempistica, seguono un loro preciso corso: per quanto l’uomo possa servirsi delle serre o di altre trovate tecnologiche, la natura ci insegna che ogni frutto aspetta una determinata stagione per maturare. Alcune regole sono dunque fisse, e sono scritte nella nostra natura.
Nel Vangelo di questa domenica, Gesù parla del Regno di Dio. Quante volte abbiamo immaginato il Regno di Dio come un luogo etereo e inconsistente, costellato da anime e spiriti. E invece, Gesù afferma che il Regno di Dio segue addirittura i ritmi dell’agricoltura: «Così è il Regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Il Regno di Dio, allora, segue le regole della nostra natura. Ma come si fa a costruire il Regno di Dio? In primo luogo, bisogna ripristinare la nostra natura di uomini riconciliati con il Creato e con le regole che Dio ha stabilito per noi. Dobbiamo accantonare l’idea che il Regno di Dio si costruisca compiendo opere eclatanti e clamorose, così come dobbiamo smettere di cercare Dio nelle cose grandiose. Gesù, infatti, afferma tutt’altro: è necessario ritrovare la nostra umanità per diventare automaticamente costruttori del Regno di Dio. Nella nostra umanità, infatti, è scritta un’altra cosa, forse la più disattesa tra le regole naturali che Dio ha posto nel nostro cuore, ovvero un enorme bisogno di Dio, un grande bisogno di trascendenza, la necessità cioè di andare oltre la nostra piccolezza, oltre i nostri orizzonti e confini: è questo ciò che c’è scritto dentro di noi.
Dunque, se recuperiamo la nostra natura e cominciamo a seguire i suoi ritmi, a rispettarli, saremo già costruttori del Regno di Dio, perché vicinissimi a Lui. Tutto il resto sarà una conseguenza: pregheremo di più, leggeremo più spesso la Bibbia, gusteremo maggiormente la Messa perché vissuta come l’incontro diretto con Dio, faremo opere di bene. Difatti, la crisi profonda del nostro tempo è di carattere naturale: non amiamo né rispettiamo più la nostra natura. Un esempio banale: è facile notare come la vita dei nostri giovani sia slittata nelle ore notturne. In passato non era così, ci si incontrava con gli amici nel pomeriggio, non a notte inoltrata. Per di più, nelle serate in cui non escono, trascorrono le nottate a letto con i loro cellulari, tra messaggi, social e altre piattaforme. Ma potremmo fare tanti altri esempi: penso all’aborto, all’omosessualità, a tutte le altre questioni che, presentandosi come simbolo di modernità, non fanno altro che sovvertire le regole naturali, quelle norme che Dio ha deciso per noi, quei precetti che ci rendono uomini sereni.
Spesso utilizziamo il termine “crisi” solo per far riferimento all’ambito economico. Siamo sempre più chiusi in noi stessi, bloccati nei nostri egoismi. Ma, a ben guardare, fatta eccezione per coloro che sono davvero in una condizione di indigenza, a tal punto da non potersi neanche sfamare, spesso ci sentiamo scontenti o insoddisfatti perché non abbiamo il televisore al plasma, o l’ultimo modello di un cellulare, un’automobile alla moda. La vera crisi è determinata dal fatto che abbiamo ideato un tenore di vita, abbiamo inventato dei bisogni che non sono primari, ma superflui e tutt’altro che necessari. La crisi profonda di questa epoca, pertanto, nasce dal fatto che, paradossalmente, stiamo vivendo una vita disumana. I filosofi usano un’espressione apposita, parlando di “oltreuomo”. Ma se l’uomo conduce una vita oltre l’umano, che vita è? Senza dubbio, una vita angosciata, triste, tesa a rincorrere delle regole che non sono scritte dentro di noi, un’esistenza volta a creare nuove regole in un Creato che non esiste perché inventato dall’uomo. Notiamo tutto ciò anche osservando la natura stessa, dono inestimabile di Dio, su cui l’uomo ha apportato stravolgimenti sconcertanti. Ad esempio, ogni volta che riversiamo plastica nel mare, stiamo rovinando l’opera perfetta di Dio. L’uomo, allora, deve recuperare sé stesso, riconciliarsi con le sue leggi proprie, che sono bellissime. Abbiamo delle leggi scritte nel cuore che non possono essere sovvertite. Recuperare la nostra umanità farà di noi dei veri costruttori del Regno di Dio e, una volta divenuti veri costruttori, sentiremo il desiderio di stare con Dio, di rimanere in Lui, di pregare, leggere la Bibbia, approfondirla e meditarla: soltanto così diventeremo davvero persone che vivono appieno la loro vita spirituale. Il Vangelo sostiene che Gesù parlava soltanto in parabole: in una bellissima omelia di diversi anni fa, Giovanni Paolo II affermò che l’essere umano è la più bella parabola della vita. È proprio così: ciascuno di noi è una parabola di vita, ognuno di noi simboleggia la vita, tutto il cosmo, tutto l’Universo, dentro ciascuno di noi risiede un microcosmo, un mondo in miniatura. Siamo parabole viventi, parliamo di Dio, testimoniamo la vita. Non commettiamo l’errore di credere che il Regno di Dio sia soltanto una realtà ultraterrena, una dimensione che segue la morte: il Regno di Dio è già in mezzo a noi. Per questo motivo, abbiamo il compito di costruirlo già qui sulla Terra, recuperando ciò che siamo davvero, rispettandoci, riconoscendo i nostri limiti e cominciando ad amarci. Allora, chiediamo al Signore di poter recuperare veramente quello che siamo, che è sempre qualcosa di meraviglioso, ma soprattutto chiediamo la forza di essere seme che, nella pur
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