Prof. Ricolfi: “La scuola non c’entra, l’ansia viene da internet, serve più realtà”

Con una tonica intervista all’ANSA sulla crisi degli adolescenti il professor Ricolfi si è tolto qualche sassolino dalle scarpe. “La scuola non c’entra, l’ansia viene da internet, serve più realtà”, dice il prof, Ricolfi. Il docente si rifà agli studi dello psicologo sociale americano Jonathan Haidt, autore del libro “La generazione ansiosa”.

Il professor Luca Ricolfi è sociologo, docente universitario, editorialista di quotidiani nazionali, fondatore dell’Osservatorio Nord Ovest, presidente e responsabile scientifico della Fondazione David Hume, senza giri di parole dice che la svolta nel malessere giovanile è partita nel 2012, a soli due anni dal lancio sul mercato del primo cellulare dotato di collegamento Internet e a pochi mesi dalla fusione tra Facebook e Instagram.

Ricolfi si rifà agli studi dello psicologo sociale americano Jonathan Haidt, autore del libro La generazione ansiosa, e spiega che “i disturbi psicologici e comportamentali dei giovani si sono impennati dopo il 2012 e lo hanno fatto in tutti i Paesi per i quali sono disponibili lunghe serie storiche di dati, come tutti quelli di lingua inglese e in tutto il Nord Europa”.

Haidt si è chiesto come mai in quel periodo i ragazzi e le ragazze hanno iniziato a star più male e l’unica spiegazione plausibile, data la sincronizzazione dei disturbi, è che tutto dipende da qualcosa che è avvenuto ovunque in quegli anni. Ma l’unico fenomeno con queste caratteristiche è stato la diffusione dello smartphone e la conseguente massiccia presenza di ragazzi e ragazze sui social. Si tratta di uno dei rarissimi casi nella mia carriera di sociologo, ammette Ricolfi, in cui ho trovato una spiegazione inoppugnabile, un’evidenza fortissima. Nell’intervista il prof Ricolfi spiega che “I giovani passano sui social almeno 3, 4 ore al giorno, non per fare amicizia, ma per emergere, far valere il loro profilo, ottenere dei like. Si tratta di una competizione che molto raramente si può vincere, perciò genera insoddisfazioni e frustrazioni”. Con una differenza fra ragazze e ragazzi.

“Di fatto la competizione tra ragazze, dice Ricolfi, avviene su una sola dimensione, che, fondamentalmente, è quella della bellezza, del sex appeal, dell’avvenenza. Tra l’altro, uno degli strumenti di questa competizione è il cosiddetto sexting, cioè l’invio di immagini osé, sessualmente esplicite, a partner potenziali”.

Invece per i maschi “oltre che per la bellezza, i maschi competono per forza, prestanza, risultati sportivi, trasgressività, che è apprezzata da molte ragazze, ma poi anche per la dominanza nel gruppo. Cioè, un maschio ha a disposizione un ventaglio di “carriere” in cui può cercare di emergere, mentre le ragazze ne hanno soltanto una, fondamentalmente, perché sono apprezzate soprattutto per la bellezza”.

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Che genera nuove frustrazioni? chiede l’intervistatore.

“Sui social, con decine o centinaia di migliaia di partecipanti, per ragioni puramente statistiche, quelle che possono emergere e vincere sono una piccola minoranza. Se l’asticella è così alta, per cui si deve avere un corpo perfetto, un volto splendido, essere dotate di sex appeal eccetera, chi può pensare di vincere? Pochissime. In una classe scolastica, forse nessuna. Da qui nasce una frustrazione che viene spesso erroneamente attribuita alla competizione scolastica.

Senza dimenticare l’invasione della pornografia che “è una questione che oggi sta esplodendo, perché c’è sempre maggiore consapevolezza”.

Sui social i giovani rischiano di perdersi, fino a rimetterci la vita?

“Sto analizzando i dati dei suicidi, dai quali emerge, in Italia come in America, che riguardano soprattutto la generazione Z”, risponde Ricolfi.

La possibile risposta a questi problemi?

“Se fossi un genitore di un adolescente, tenderei a dirgli “va bene la reperibilità, ma ti do un cellulare tradizionale, di quelli che non hanno il collegamento a internet”. Tra l’altro, costano pochissimo. Però, questa soluzione, che noi genitori potremmo adottare se avessimo un po’ di coraggio educativo, è impedita dalla scuola, perché, in base a un malinteso principio di trasparenza, ormai la scuola comunica sistematicamente attraverso internet con i ragazzi e le loro famiglie. Non c’è più il compito dato in classe, che ti scrivi sul quaderno e poi fai a casa; non c’è più il contatto faccia a faccia con i genitori, in cui l’insegnante spiega cosa va o non va in tuo figlio, ma c’è una comunicazione continua su internet di voti e compiti”.

Risposte coraggiose quelle del prof Ricolfi che almeno cercano di capire e far capire. Risposte che comunque …. le nonne e tanti genitori avevano già intuito.




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Gabriele Soliani

Gabriele Soliani, nato a Boretto (Reggio Emilia) il 24-03-1955. Medico, psicoterapeuta, sessuologo, adolescentologo, giornalista pubblicista iscritto all’Ordine. Libero professionista. Ha collaborato per 9 anni al Consultorio Familiare diocesano di Reggio Emilia. Sposato con Patrizia, docente di scuola superiore. Vive a Napoli dal 2015. Ministro della Santa Comunione e Lettore istituito.

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