Il Vangelo letto in famiglia

VI DOMENICA DI PASQUA – Anno B – 5 MAGGIO 2024

Dio ama senza alcun pregiudizio

In effetti, siamo noi ad avere numerosi pregiudizi nei confronti di Dio. Quanto sospetto, quanti dubbi, quante congetture. Spesso ci attanagliano domande del tipo: «Sarà vero? È una mia costruzione mentale?», o addirittura, guardando il mondo in cui viviamo, ci convinciamo che Dio non esista, che sia soltanto frutto della nostra immaginazione, uno strumento creato ad hoc per tenerci a bada.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 15,9-17

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

IL COMMENTO

di don Gianluca Coppola

La Liturgia della Parola di questa sesta domenica di Pasqua conferma senza dubbio il fatto che il messaggio evangelico non ha niente a che fare con ciò di cui il mondo vuole convincerci, con ciò che la realtà in cui viviamo quotidianamente vuole propinarci.

Infatti, a partire dal Settecento e, in modo particolare con l’Illuminismo, siamo entrati in un’epoca più evoluta, in cui il ragionamento e il pensiero filosofico sono via via divenuti sempre più elaborati; però, da quel momento in poi, ciò che la speculazione filosofica ha introdotto nella vita dell’uomo è un generale atteggiamento di sospetto nei confronti di ogni cosa. Tutto ormai deve essere vagliato e dimostrato, analizzato e valutato con estrema precisione, come se niente fosse vero fino in fondo: basti pensare ai “grandi maestri del sospetto”, così come vengono definiti filosofi come Marx, Nietzsche e Freud, che pur facendosi portavoce di teorie molto differenti tra loro, sono accomunati da un costante comportamento sospettoso, una sorta di pensiero diffidente. È come se ciascuno di loro suggerisse che nell’essere umano, nel profondo, ci sia sempre qualcosa da smentire, qualcosa che non va.

Oggi, invece, la Parola di Dio annuncia esattamente il contrario. Nella Prima Lettura, è chiaro come San Pietro nutrisse un pregiudizio nei confronti dei pagani: riteneva, infatti, che i pagani non potessero capire Dio. Spesso, anche noi cadiamo nello stesso errore, quando crediamo che una persona, da fuori, non possa capirci, arrivando addirittura a pensare che mai nessuno potrà comprenderci davvero. Dunque, anche San Pietro la pensava così, ma Dio non ragiona allo stesso modo: Egli aveva già pensato di andare verso i pagani, proprio quei pagani che, secondo i giudei cristiani come Pietro, ovvero i giudei convertiti al cristianesimo, non erano buoni a nulla, non avrebbero mai potuto comprendere. E invece Dio stupisce tutti, abbatte il muro del sospetto, arriva al cuore di quelle persone, decide di fare a quei pagani lo stesso dono che ha fatto agli Apostoli, quello dello Spirito Santo. Così facendo, allora, Pietro, ha la certezza che Dio ama senza alcun pregiudizio.

In effetti, siamo noi ad avere numerosi pregiudizi nei confronti di Dio. Quanto sospetto, quanti dubbi, quante congetture. Spesso ci attanagliano domande del tipo: «Sarà vero? È una mia costruzione mentale?», o addirittura, guardando il mondo in cui viviamo, ci convinciamo che Dio non esista, che sia soltanto frutto della nostra immaginazione, uno strumento creato ad hoc per tenerci a bada. Molti filosofi e maestri del Settecento e dell’Ottocento sostenevano che la religione non è altro che un’invenzione creata per tenere sotto controllo i popoli, un mezzo attraverso cui renderli arrendevoli, docili e ammaestrabili, un espediente ideato per fare della vita dell’uomo una schiavitù. E invece Gesù, nel Vangelo, ci consegna un messaggio bellissimo: «Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri», non per essere schiavi né di regole, né di un pensiero o di una morale, ma per essere suoi amici. Gesù ci comanda di amare, perché «la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena». Che meraviglia! Il comando di Gesù è estremamente preciso: «che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi». Ma come si ottiene questa gioia? Innanzitutto, abbattendo il muro di qualsiasi pregiudizio, non soltanto nei confronti degli altri, ma in modo particolare nei confronti di Dio. Dobbiamo riconoscere che la fede è un dono, e dunque chiedere a Gesù di riempire la nostra vita con questo dono, di non essere più sospettosi, ma liberi di credere, di amare e di essere. 

Non solo, ma nelle parole di questo passo si svela la grande rivoluzione cristiana, ciò che separa il cristianesimo da tutte le altre religioni o filosofie: Dio ci ha amati per primi. Non dobbiamo fare nulla per piacere a Dio, perché Lui già ci ama, ha investito su di noi, ci ha amati per primo, ci ha consegnato il Suo amore, un amore totale, definitivo, completo. Chi studia le religioni sa che questa è una caratteristica che soltanto il cristianesimo possiede: in ogni altra religione, è sempre l’uomo che deve impegnarsi, fare qualcosa per piacere a Dio, ma nel cristianesimo non funziona così. È Dio che fa qualcosa per piacere a noi, anzi, ha compiuto il gesto più grande per noi: si è fatto uomo e ha dato la Sua vita per ciascuno di noi. Dinanzi a una tale rivoluzione incommensurabile, a che cosa servono i sospetti, a cosa serve la mancanza di fede? Abbiamo un Dio in cui è semplice credere, perché è proprio come noi, si è fatto uguale a noi. Abbiamo ridotto il cristianesimo a una serie di regole, dimenticando che in realtà esiste soltanto una regola, quella di amare come Gesù ha amato, è qui il centro della nostra vita cristiana. Sembra facile, ma non lo è affatto. Amare deve essere una scelta continua, costante, da compiere in ogni giorno della vita. Dio ci giudicherà sulle nostre mancanze? Può darsi, ma soltanto perché esse nascono sempre da una carenza di amore. Il giudizio di Dio sarà sull’amore, il suo metro di giudizio sarà l’amore. Siamo riusciti ad amare come Gesù ha amato nella Sua vita? Siamo riusciti a donarci come Lui si è donato? Sarà questo il giudizio di Dio, non altro, perché è nel momento in cui smettiamo di amare che cadiamo nel peccato.

Il comandamento che Gesù ha dato, e che pretende che noi seguiamo, ci conduce a scoprire il senso profondo dell’amore: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato». In un’epoca in cui ormai l’amore è stato ridotto a mero oggetto di talk show, in cui tutto è basato sul sensazionale, sul “sentire”, ci si potrebbe chiedere se sia giusto comandare l’amore. Ma è proprio in questo che Gesù ci concede uno sguardo rinnovato e ci rivela che l’amore è innanzitutto scelta. Io scelgo di amare ed è in questa scelta che si compie il comando di Gesù. L’amore non è soltanto un sentimento: oggi c’è un sentimentalismo dilagante, che, unito al sospetto, può portare a conseguenze terribili. Può sembrare banale, eppure è così: dobbiamo scegliere di amare. Potremmo anche impegnarci in tante attività nella nostra vita, potremmo lavorare, agitarci, accumulare, preservare, ma Gesù afferma che esiste solo una cosa capace di farci vivere nella gioia piena: amare come Lui ci ha amato.

Se amiamo come ama Gesù, allora la nostra ricompensa sarà una gioia traboccante. È da questo amore che scaturisce ogni opera di bene, da esso potrà scaturire solo il bene. Se amo come ama Gesù, se il mio cuore è nella gioia, e vedo un fratello che non vive in quella stessa gioia, allora non riuscirò a ignorarlo, ma mi impegnerò ad aiutarlo. Se amo come ama Gesù, se il mio cuore è nella gioia, e vedo un fratello che ha fame, allora dovrò dargli da mangiare. Se amo come ama Gesù, se il mio cuore è nella gioia, e noto che le cose con mia moglie o con mio marito non stanno procedendo bene, non riuscirò a rimanere in quella situazione, ma deciderò di parlare con l’altro per trovare una soluzione. È questo atteggiamento che migliora la qualità della vita. Non sono i soldi a farlo, e nemmeno i provvedimenti economici, perché questi non agiscono sui nostri cuori, non li guariscono.

Allora cos’è che migliora la vita, la palestra? Certo, può migliorare il nostro fisico, farci sentire più attivi. Una vacanza? Senza dubbio potrebbe farci sentire più riposati. Ma niente di tutto questo basta: la qualità della vita si migliora soltanto amando come ama Gesù, è ciò che Lui stesso ci ha chiesto di fare. Se noi seguiamo questo comandamento, se amiamo come Gesù ama, allora la Sua gioia verrà in noi e la nostra gioia sarà piena, è questa la Sua promessa. Soltanto allora sentiremo non l’entusiasmo, non l’euforia, ma quella gioia vera che si gusta interiormente anche nelle prove più difficili.




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Gianluca Coppola

Gianluca Coppola (1982) è presbitero della Diocesi di Napoli. Ha la passione per i giovani e l’evangelizzazione. È stato ordinato sacerdote il 29 aprile 2012 dopo aver conseguito il baccellierato in Sacra Teologia nel giugno del 2011. Dopo il primo incarico da vicario parrocchiale nella Chiesa di Maria Santissima della Salute in Portici (NA), è attualmente parroco dell’Immacolata Concezione in Portici. Con Editrice Punto Famiglia ha pubblicato Dalla sopravvivenza alla vita. Lettere di un prete ai giovani sulle domande essenziali (2019) e Sono venuto a portare il fuoco sulla terra (2020).

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