Sposi, come viviamo la misericordia nel nostro matrimonio?

6 Aprile 2024

coppia

Domenica 7 aprile ricorre la festa della Divina Misericordia. Oggi proponiamo una riflessione, partendo dal presupposto che la misericordia di Dio porta in sé tutti i crismi dell’amore sponsale. In famiglia avere misericordia significa amare nella gioia e nel dolore non per obbligo, ma per scelta volontaria e consapevole.

Il termine ebraico che esprime misericordia è la parola hesed. La troviamo nel contesto di Alleanza con il popolo eletto, nel Deuteronomio, nei libri storici e, soprattutto, nei salmi e nei profeti. Essa definisce l’amore che mostra bontà e grazia. Hesed sottolinea le caratteristiche della Divina Misericordia: fedeltà e responsabilità nell’amore. 

Hesed, tradotto ordinariamente in greco con éleos, sta ad indicare la misericordia intesa come la relazione che unisce indissolubilmente due esseri ed implica la fedeltà, che si concretizza in un aiuto certo ed efficace, su imitazione della Berȋt (Alleanza) stabilita da Dio con il Suo popolo. La misericordia di Dio porta in sé tutti i crismi dell’amore sponsale: amare nella gioia e nel dolore non per obbligo, ma per scelta volontaria che diviene sempre più consapevole col passare degli anni. Contiene anche l’amore che caratterizza l’ordine sacro, proteso ad amare e servire la comunità con amore inesauribile e fedele. 

Di conseguenza, la misericordia non può essere soltanto un’eco di bontà, ma una scelta cosciente, voluta in risposta ad un dovere interiore: fedeltà a sé stessi e a Dio.

Ritroviamo la misericordia di Dio nel passaggio di Israele attraverso il deserto quando si identifica con il desiderio di Dio di ricongiungere a sé tutti coloro che si erano allontanati dall’antica alleanza.

Il deserto è il luogo dove Dio, nel silenzio e nella solitudine, dialoga con il Suo popolo parlando al singolo, cuore a cuore. Così si legge nel profeta Osea 2, 16: «Perciò, ecco, la attirerò a Me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore». L’ingresso nella terra promessa, dopo la schiavitù ed i quaranta anni nel deserto rappresentano, simbolicamente, il ritorno all’unico e vero Signore e, quindi, alla vita e all’amore vero. Ecco perché leggiamo in Osea 6, 1: «Venite, ritorniamo al Signore: Egli ci ha straziato ed Egli ci guarirà. Egli ha colpito, Egli fascerà le nostre piaghe».

Nei testi ebraici più di 30 volte incontriamo anche l’espressione hesed weemet, e cioè grazia e fedeltà, ma troviamo anche il termine rahamim (parola derivante da rehem – seno della madre), che sottolinea le caratteristiche proprie dell’amore della donna e della madre, una sorta di attaccamento istintivo di un essere ad un altro. È paragonato all’amore materno perché, secondo i semiti, questo sentimento ha sede nel seno materno detto rehem, come si trova scritto in 1Re 3, 26: «La madre del bimbo vivo si rivolse al re, poiché le sue viscere si erano commosse per suo figlio e disse: Signore, date a lei il bambino vivo, non uccidetelo!». Le viscere (rahamȋm) possono esprimere anche l’amore paterno che ritroviamo in Geremia 31, 20: «Per questo le mie viscere si commuovono per lui, provo per lui una profonda tristezza». Ma anche l’amore di un fratello, come espresso in Genesi 43, 30: «Giuseppe uscì in fretta, perché si era commosso sin nelle viscere alla presenza del fratello e sentiva il bisogno di piangere; entrò nella sua camera e pianse».

Esprime il mistero della Divina Misericordia anche la parola hanan, che definisce un atteggiamento fermo, cordiale e di magnanimità. La parola hamal (letteralmente – il risparmio dell’avversario vinto) esprime, invece, quegli aspetti della misericordia, quali la manifestazione di pietà, di compassione, di perdono e di remissione delle colpe. Questo significato ci riporta alla scena della croce raccontata in Luca 23, 42-43: «E aggiunse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”». Una remissione immediata della colpa e della pena dettata dall’amore salvifico e compassionevole del Cristo.

Significato simile ha la parola hus, che esprime pietà e compassione, soprattutto come sentimento. Qualche volta appare anche la parola hen, che definisce la bontà e il rapporto cordiale verso gli altri, soprattutto verso il prossimo, che si trovino in una situazione difficile. Così come è riportato nella parabola del buon Samaritano. 

Alla luce di quanto detto non stupisce il Salmo 135 (136) considerato il grande Hallel pasquale nel quale risuona una sorta di litania che i fedeli pronunciano in risposta ad ogni versetto: “eterna è la sua misericordia”. Gli israeliti, rileggendo la storia della salvezza attraverso i fatti storici, avevano maturato, dunque, l’idea dell’essenza di Dio: la misericordia! Perché tutto ciò che esiste per l’uomo è frutto della Sua misericordia. 

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Quanto detto trova ulteriore conferma nel Nuovo Testamento proprio al momento dell’incarnazione di Cristo. La misericordia si fa carne, assumendo pienamente e volontariamente i limiti umani per amore. In Giovanni 1, 16-20 leggiamo: «Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del padre, Lui Lo ha rivelato».

Gesù non solo ci rivela il volto misericordioso del Padre, ma ci dona la possibilità di anticipare, già qui su questa terra, l’inserimento nel seno della Trinità. Ciò è possibile grazie all’Eucaristia, che è l’espressione più alta dell’amore misericordioso di Dio, il quale, non solo continua a parlare al nostro cuore, ma si unisce sponsalmente ad ognuno di noi facendoci entrare nella Sua parte più intima. È come se Dio, attraverso Gesù Cristo, ci facesse appropriare di tutti i suoi beni, rendendoci simili al Figlio, così che dopo l’Eucaristia pur continuando a vedere la miseria umana, lo fa attraverso uno sguardo di benevolenza perché riconosce i tratti del Figlio amato. È possibile sperimentare questo amore se ci si abbandona a Dio morendo al proprio io per fare spazio a Dio. L’io potrebbe essere paragonato alla radice centrale di un grosso albero dalla quale si irradiano tutte le altre. L’uomo, durante la sua esistenza difficilmente riesce a scalfire il proprio io perché è l’asse portante della struttura umana. Come affermava Santa Teresa d’Avila, con ironia amara: “L’amor proprio muore venti minuti dopo la nostra morte”. E dunque, solo, la misericordia può aiutarci a superarlo.

In che modo una coppia di sposi o di fidanzati si pone rispetto all’amor proprio e alla misericordia? Come può sperare di resistere sapendo e sperimentando l’esistenza di questo grande ostacolo? Seguendo le categorie puramente umani, infatti, il mondo ci consegna una ricetta che ritiene utile per poter vivere bene e conservare intatto il proprio io: ama finchè le cose procedono secondo le tue aspettative, ma appena ti viene chiesto di morire a te stesso, ricorda che hai il diritto ad essere felice e, quindi, il diritto di retrocedere e ricercare la felicità altrove. Seguendo, invece, le categorie di Dio la ricetta è radicalmente diversa anche se l’obiettivo è lo stesso: essere felici. Una coppia che decide di unirsi in matrimonio innesca una lotta quotidiana verso il proprio io facendo spazio al Noi che ha due caratteristiche quello coniugale e familiare. Il noi coniugale consiste nel fare spazio al coniuge accogliendolo e supportandolo in tutto. Quello familiare, invece, consiste nella decisione della coppia di morire alle proprie esigenze per far spazio ai figli e agli altri membri della famiglia ristretta ed allargata. I coniugi devono applicare la misericordia vicendevole che consiste nell’amare Dio nell’uomo e l’uomo in Dio.

Più vicino a noi temporalmente, afferma san Giovanni Paolo II nell’enciclica Dives in Misericordia al numero 7, che misericordia è il secondo nome dell’amore e, utilizzando le parole di Suor Faustina ricorda che «la misericordia è il fiore più bello dell’amore» (D. 651).Proprio dall’apostola della Divina Misericordia troviamo un monito ed un invito importanti per una coppia con figli che vuole vivere secondo l’insegnamento divino. Gesù disse a Suor Faustina Kowalska: «Esigo da te atti di Misericordia che devono derivare dall’amore verso di Me. Devi mostrare Misericordia sempre e ovunque verso il prossimo: non puoi esimerti da questo, né rifiutarti né giustificarti. Ti sottopongo tre modi per dimostrare Misericordia verso il prossimo: il primo è l’azione, il secondo è la parola, il terzo la preghiera. In questi tre gradi è racchiusa la pienezza della Misericordia ed è una dimostrazione irrefutabile dell’amore verso di Me. In questo modo l’anima esalta e rende culto alla Mia Misericordia» (D. 742). Un coniuge, per vivere il proprio amore per Dio, secondo quanto riportato, è chiamato ad agire, parlare e pregare per l’altro coniuge. Insieme, essi sono chiamati ad agire, parlare e pregare per i figli. Se siamo creati ad immagine di Dio, e la sua essenza è Misericordia nelle molteplici accezioni che abbiamo sommariamente tracciato, ecco allora la strada che ne deriva per un amore forte almeno come la morte. Agire per Amore in ogni stagione della vita. Parlare (ed ascoltare) per Amore in ogni momento, senza stancarsi. Infine, stante la nostra fragilità, pregare per Amore che rappresenta l’arma finale di ogni persona.




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Assunta Scialdone

Assunta Scialdone, sposa e madre, docente presso l’ISSR santi Apostoli Pietro e Paolo - area casertana - in Capua e di I.R.C nella scuola secondaria di Primo Grado. Dottore in Sacra Teologia in vita cristiana indirizzo spiritualità. Ha conseguito il Master in Scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Da anni impegnata nella pastorale familiare diocesana, serve lo Sposo servendo gli sposi.

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