CORRISPONDENZA FAMILIARE
La Croce annuncia che solo l’amore vince
25 Marzo 2024
Cari amici, la Settimana Santa inizia con la domenica delle Palme, in cui facciamo memoria dell’ingresso festoso di Gesù in Gerusalemme, e termina con l’annuncio della Risurrezione. In mezzo a questi due eventi, vestiti a festa, ci sono i giorni in cui rileggiamo attentamente le pagine della Passione. Il dramma che duemila anni fa si è consumato nella Città Santa è dentro un abbraccio festoso. Per questo motivo la memoria della Croce non è per noi motivo di tristezza ma un annuncio di vittoria, ravviva la certezza che l’amore di Dio è più forte di tutte le ingiustizie che gli uomini sono capaci di compiere. Questa fede permette di leggere e affrontare i drammi che oscurano il nostro tempo senza smarrire la speranza.
Per vivere questi giorni santi nella luce della fede e offrire una chiave di lettura della narrazione evangelica, agli sposi e consacrati della mia Fraternità ho proposto una catechesi di cui ora riporto solo il paragrafo conclusivo, quello in cui emerge l’amore fedele di Dio. Sono giorni preziosi, non sciupateli. Buon cammino.
Per ascoltare la catechesi clicca qui
Il Vangelo della Passione non racconta l’ingiustizia ma annuncia l’amore. Certo, la condanna di Gesù rappresenta l’espressione più brutale dell’iniquità ma, come scrive l’apostolo Paolo, “dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia” (Rm 5.20). Più che soffermarci sulla sofferenza patita, è bene contemplare l’amore donato. Possiamo e dobbiamo leggere le pagine della Passione come la manifestazione luminosa di quella carità che cambia la storia dell’umanità.
Il racconto della Passione è composto di tante scene che si susseguono rapidamente, in poche ore si passa dalla cena all’arresto, dal Getsemani al Calvario. Nei prossimi giorni vi invito a rileggere con calma tutti i vari episodi, almeno uno al giorno. Oggi invece bypassiamo tutte le scene e ci mettiamo ai piedi della croce. È una posizione piuttosto scomoda perché ci costringe a guardare in faccia l’amore nella sua versione più umiliante, proprio quella che istintivamente rifiutiamo: “lo crocifissero e si divisero le sue vesti”, scrive Marco (15,24). Rileggendo questa vicenda a distanza di anni l’apostolo Paolo riassume così: “umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,8). Queste parole sono l’eco dell’orrore che egli prova dinanzi ad un evento del genere. Inutile girarci attorno, la croce è “scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani” (1Cor 1, 23)
La vicenda di Gesù trova nella croce il suo punto di arrivo, non desiderato ma accolto e vissuto per amore. È comodo pensare che quello che accade a Gesù sia il frutto velenoso di una plateale ingiustizia. In realtà, il Vangelo racconta la storia di un Dio che per amore non teme di umiliarsi fino alla morte: è il più radicale capovolgimento che l’uomo possa immaginare.
La croce di Gesù è dunque la chiave per entrare nel groviglio della vita, per capire e scoprire il senso di un’esistenza che spesso appare come un intreccio caotico di sentimenti. La croce è la luce che permette di dare una risposta alle numerose domande che accompagnano i nostri passi. Sulla croce risuona il grido angoscioso di Gesù: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” (15,32). Questo grido è l’eco di tutta la sofferenza che accompagna la storia dell’umanità. Ma prima di questa parola, che esprime tutta l’umanissima e intima sofferenza del Figlio, risuona un altro grido, quello del Padre che ha “tanto amato il mondo da donare il Figlio” (cf Gv 3,16). Dio non può spezzare il legame con l’uomo perché ama e chi ama non si ritira, non misura l’amore con la fedeltà dell’altro, anzi vince con l’amore la sua infedeltà.
La Passione di Gesù è attraversata da due grandi parole che hanno una forte risonanza biblica: “Amore e fedeltà voglio cantare”, dice il salmista. L’amore può essere percepito e vissuto solo come uno slancio emotivo che risponde alle attese di ciascuno. Un amore come questo rischia di diventare una forma di auto-compiacimento che per un certo tempo può dare una forma di ebbrezza ma non ha la forza di durare e, prima o poi, cade miseramente lasciando nel cuore ferite e delusioni. L’amore autentico si nutre di fedeltà, anzi trova proprio nella fedeltà appassionata la sua espressione piena e coraggiosa.
Il racconto della Passione è la storia della fedeltà di Dio. Gesù è fedele, è pronto ad amare fino alla fine. È fedele
- anche se discepoli non comprendono e fuggono come bambini spaventati,
- anche se rinnegano platealmente come Pietro,
- anche se lo tradiscono come Giuda,
- anche se lo accusano ingiustamente, come i capi dei sacerdoti.
Non è audace accettare la sfida dell’amore, anzi, a ben vedere è piuttosto istintivo ed egoistico. È audace restare fedeli quando l’orizzonte si oscura, quando i sentimenti non sono più vividi e/o sono appesantiti dalle ombre della vita. Non è audace vivere l’amore nel solco dei sentimenti, è audace sottomettere l’amore alla volontà di Dio. La fedeltà non ci fa restare chiusi nel passato, un passato che a volte appare privo di vita, ma c’immerge nel futuro, la fedeltà è un patto con il futuro, nasce dalla certezza che c’è una storia che si compie, una storia che Dio compie nonostante tutto. La fedeltà è l’abbandonarsi fiducioso nelle mani di Dio.
Il racconto della Passione si conclude con l’annuncio: “uscì sangue e acqua” (Gv 19,34). È il primo rivolo di una corrente inesauribile. L’amore di Dio è più grande delle nostre debolezze, anzi vince ogni nostra fragilità, vince il nostro peccato. Non abbiate paura, se ci fidiamo di Dio, non mancherà l’amore che fa della nostra vita una bella avventura.
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Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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