Papa Francesco: invidia e vanagloria “vanno a braccetto”

Papa Francesco, durante l’udienza generale di mercoledì 28 febbraio, ha preso in esame due vizi capitali: l’invidia e la vanagloria. L’invidioso, ha spiegato il pontefice, trova “ingiusta” la felicità dell’altro e il vanaglorioso mette sé stesso sempre al centro: “è un perenne mendicante di attenzioni”. Come uscire da questi vizi? Gareggiando nello stimarci a vicenda.

Sull’invidia il Santo Padre ha invitato a prendere come riferimento la Sacra Scrittura, per riflettere sul fatto che “appare come uno dei vizi più antichi”. Ne è un esempio l’odio di Caino nei confronti di Abele, il quale “si scatena quando si accorge che i sacrifici del fratello sono graditi a Dio”.

“Caino era il primogenito di Adamo ed Eva – ha spiegato il papa – si era preso la parte più cospicua dell’eredità paterna; eppure, basta che Abele, il fratello minore, riesca in una piccola impresa, che Caino si rabbuia”.

Così accade a chi prova invidia: “Il volto dell’invidioso è sempre triste: – ha affermato il Santo Padre – lo sguardo è basso, pare che indaghi in continuazione il suolo, ma in realtà non vede niente, perché la mente è avviluppata da pensieri pieni di cattiveria. L’invidia, se non viene controllata, porta all’odio dell’altro. Abele sarà ucciso per mano di Caino, che non poteva sopportare la felicità del fratello”.

L’invidia, tuttavia, “è un male indagato non solo in ambito cristiano”. Come ha fatto notare Francesco, “essa ha attirato l’attenzione di filosofi e sapienti di ogni cultura”. Ha poi proseguito: “Alla sua base c’è un rapporto di odio e amore: si vuole il male dell’altro, ma segretamente si desidera essere come lui”. Questo perché “l’altro è l’epifania di ciò che vorremmo essere, e che in realtà non siamo. La sua fortuna ci sembra un’ingiustizia: sicuramente – pensiamo – noi avremmo meritato molto di più i suoi successi o la sua buona sorte!”

Inoltre, alla radice di questo vizio c’è “una falsa idea di Dio”: non si accetta che Dio abbia la sua “matematica”, diversa dalla nostra.

Ecco allora che il papa ha ripreso la parabola di Gesù sui lavoratori chiamati dal padrone ad andare nella vigna alle diverse ore del giorno, dove il padrone dà a tutti la stessa paga, e dice: “Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?” (Mt 20,15). La verità è che, ha sostenuto Francesco, “Vorremmo imporre a Dio la nostra logica egoistica, invece, la logica di Dio è l’amore”.

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A questo vizio, però, il Santo Padre ha proposto un rimedio, prendendolo dalla lettera di San Paolo ai Romani: “Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rm 12,10).

Per quanto riguarda il vizio della vanagloria, il papa ha poi affermato che essa “va a braccetto con il demone dell’invidia”, e insieme “questi due vizi sono propri di una persona che ambisce ad essere il centro del mondo”, e vuole sentirsi “libera di sfruttare tutto e tutti, oggetto di ogni lode e di ogni amore”.

La vanagloria è “un’autostima gonfiata e senza fondamenti”.

Il vanaglorioso “possiede un io ingombrante: non ha empatia e non si accorge che nel mondo esistono altre persone oltre a lui”. I suoi rapporti sono sempre strumentali, improntati alla sopraffazione dell’altro. “La sua persona, le sue imprese, i suoi successi devono essere mostrati a tutti: è un perenne mendicante di attenzione. E se qualche volta le sue qualità non vengono riconosciute, allora si arrabbia ferocemente”.

Il papa ha dunque raccontato un episodio: “Nei suoi scritti, Evagrio Pontico descrive l’amara vicenda di qualche monaco colpito dalla vanagloria. Succede che, dopo i primi successi nella vita spirituale, si sente già un arrivato, e allora si precipita nel mondo per ricevere le sue lodi. Ma non capisce di essere solo agli inizi del cammino spirituale, e che è in agguato una tentazione che presto lo farà cadere”.

Secondo il papa, l’istruzione più bella per vincere la vanagloria la possiamo trovare nella testimonianza di San Paolo: “l’Apostolo fece sempre i conti con un difetto che non riuscì mai a vincere. Per ben tre volte chiese al Signore di liberarlo da quel tormento, ma alla fine Gesù gli rispose: «Ti basta la mia grazia; la forza, infatti, si manifesta pienamente nella debolezza». Da quel giorno Paolo fu liberato”.

La sua conclusione, a detta del santo Padre, dovrebbe diventare anche la nostra: “Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo” (2 Cor 12,9).




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