Giorgia è una giovane ragazza che vive in una famiglia agiata ma frammentata sul piano delle relazioni. I genitori arrivano alla separazione. La mamma si allontana in una città distante, i due figli restano con il padre. Giorgia comincia a frequentare ambienti e persone particolari e manifestare anche qualche disturbo, finisce per vivere per strada molto tempo della sua giornata, anche elemosinando pochi spiccioli per una birra. Ad un certo punto si accorge di essere in attesa, alcuni volontari di Nuovi Orizzonti mi chiamano per un colloquio. La soluzione sembrava l’aborto ma Giorgia per grazia di Dio sceglie la vita. Nasce il suo bambino e, come è previsto dal nostro quadro normativo, lo fa in anonimato.
Nel mio percorso di accompagnamento non qualificato di questa giovane donna, ho interpellato i servizi sociali territoriali, mi hanno risposto che a loro interessava solo che il bambino fosse affidato quanto prima ad una famiglia, per la mamma non potevano fare nulla. È un sistema evidentemente miope che mira a risolvere il problema solo a metà. Lo stesso dicasi per i minori, ormai maggiorenni in uscita da percorsi di accoglienza. Vengono spesso lasciati al loro destino, vanificando il lavoro svolto quando erano minorenni.
Tornando a Giorgia, il bambino viene affidato ad una famiglia e poi in adozione in breve tempo, intanto lei alterna momenti in cui torna per strada ad altri in cui torna a casa. Ma la situazione in famiglia è tesissima e scattano violenze e denunce. Cacciata di casa e non sapendo dove andare, una famiglia con tre figli, l’ha accolta in casa in attesa che potessimo trovare per lei una sistemazione adeguata e un percorso ad hoc. Una famiglia si è presa cura di lei. La cosa bella è che durante questa permanenza Giorgia è stata un’altra persona. Si è sentita amata e non ha avuto bisogno di esternare la sua rabbia contro la vita.
Papa Francesco in Amoris laetitia dice che la “famiglia è chiamata a lasciare la sua impronta nella società dove è inserita, per sviluppare altre forme di fecondità che sono il prolungamento dell’amore che la sostiene”. E aggiunge: “Le famiglie cristiane non dimentichino che la fede non ci toglie dal mondo ma ci inserisce più profondamente in esso”.
Dobbiamo superare una certa visione della famiglia molto ripiegata su se stessa, sui propri problemi, sulle proprie necessità per aprirsi ma non solo. Per immettere questo flusso di cura, di attenzioni, di amore nella società. Tutto questo si studia a tavolino? No, la famiglia è per sua natura un luogo, uno spazio fecondo, un avamposto di accoglienza. Anzi quanto più manifesta la sua missione di cura tanto più rivela la sua vocazione e la sua missione nella Chiesa e nella società. E rende migliore questo mondo.
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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