Ero seduta a mangiare chicchi di mais tostato sul divano con la mia bella tazza di tè freddo con tanto limone. Uno dei lussi che mi concedo in perenne bilico tra la bilancia e l’idea di una nutrizione equilibrata. Ascoltavo musica e mi godevo quella solitudine. Con la speranza che nessuno interrompesse quel momento così ricercato, avevo messo il cellulare silenzioso e lontano dalla mia vista. Era stata una giornata intensa tra due interviste, ripianificazione degli obiettivi economici, irrinunciabili telefonate, spesa e una miriade di pensieri che come sempre si rincorrono togliendomi forze ed energie. Insomma, semplicemente la mia vita. Prima della meritata pausa avevo però rassicurato il mio cuore con una telefonata irrinunciabile. A chi? A mio figlio, che vive dall’altra parte dello stivale. In Piemonte. Una distanza che ho cercato di analizzare varie volte: so per esempio quanto ci vuole in treno, con l’auto, con l’aereo. Calcolando anche le rotte da e verso stazioni o aeroporti o soste in autogrill.
Questa esperienza si chiama maternità e pur gustando l’ebbrezza del mio bicchiere di tè sul divano nella solitudine e nel godimento di chi si concede tempo per se stessa, sono certa, senza nessun dubbio, che non la cambierei per altro in questo mondo. Come sono certa che non lo farebbero neanche le mie amiche che di figli ne hanno tre, quattro, cinque e non hanno paura di affermare che i figli quando si mettono tutti insieme sono delle grandissime rotture di scatole. Il problema principale culturale rispetto alla maternità non è il semplicistico dilemma tra chi i figli li vuole e chi invece vuole uscire dall’anonimato – come Simonetta Sciandivasci che ha critto il libro I figli che non voglio (almeno per ora…) – per gridare al mondo che non è fatta per essere madre.
Il cuore di ogni donna è stato già pensato per essere donato. Se non si dona, se non si dilata, si atrofizza. Una donna che non ha figli può certamente eccellere in tanti altri campi: dalla scienza alla medicina, dall’arte allo sport. E diciamolo pure al cospetto di chi pensa che una donna può tutto (le tanto decantate femmine multitasking…), i figli succhiano energie fisiche e intellettuali. Ti lasciano tramortita e indifesa davanti ai pericoli che potrebbero affrontare (malattie, droghe, amicizie sbagliate, …). E poi vogliamo parlare della cellulite, delle cicatrici dei tagli cesarei, delle occhiaie scure per le notti insonni?
Un figlio è certamente la fine di un’era ma…Intanto puoi condividere questo dono con colui che ami. E si sa i padri esistono anche per arginare il maremoto della maternità che incombe sulla donna perché gli uomini sono più razionali, più lucidi, senza gli ormoni impazziti della gravidanza. E poi c’è la meravigliosa esperienza di vivere non più per te stessa, non più per un ideale astratto, non più per un sogno di benessere o un obiettivo professionale. Ad un occhio attento si può vedere quanta bellezza c’è nello sguardo e nel cuore di una madre. In quei gesti nascosti o addirittura stigmatizzati da una cultura che vuole dividere la donna dall’essere madre, che la vuole allontanare da quel fecondo dolore che genera vita.
Meglio rimettere la suoneria al mio cellulare, alzarmi dal divano e dedicarmi a preparare i barattoli di sugo per riempire la dispensa della cucina piemontese del mio figliolo. Trovo che sia un’occupazione molto più rilassante di stare sul divano a trangugiare mais e tè freddo.
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