Papa Francesco: se usciamo dal mondo, riduciamo la Chiesa a una setta
Durante le precedenti udienze, Papa Francesco si era concentrato sul fatto che l’annuncio cristiano è gioia ed è per tutti; nella mattinata di mercoledì 29 novembre si è soffermato, invece, sul fatto che esso è per l’oggi… Il cristiano non può isolarsi e giudicare il mondo da lontano, con distacco: deve abitarlo. Altrimenti la Chiesa diventerebbe una setta…
“Si sente quasi sempre parlare male dell’oggi. – ha esordito il papa, davanti ai fedeli giunti a san Pietro per ascoltarlo – Certo, tra guerre, cambiamenti climatici, ingiustizie planetarie e migrazioni, crisi della famiglia e della speranza, non mancano motivi di preoccupazione”.
Il papa non dubita che ci possano essere sia motivi per essere grati all’oggi, sia ragioni per essere preoccupati. “In generale, – afferma – l’oggi sembra abitato da una cultura che mette l’individuo al di sopra di tutto e la tecnica al centro di tutto”. Se da un lato si possono “risolvere molti problemi” grazie ai “giganteschi progressi in tanti campi”, al tempo stesso “questa cultura del progresso tecnico-individuale porta ad affermare una libertà che non vuole darsi dei limiti e si mostra indifferente verso chi rimane indietro”.
E così si consegnano le grandi aspirazioni umane alle “logiche spesso voraci dell’economia, con una visione della vita che scarta chi non produce e fatica a guardare al di là dell’immanente”. Il santo Padre ha poi offerto un esempio, traendo spunto dal racconto della città di Babele e della sua torre (cfr Gen 11,1-9). “In esso si narra un progetto sociale che prevede di sacrificare ogni individualità all’efficienza della collettività. L’umanità parla una lingua sola – potremmo dire che ha un “pensiero unico” –, è come avvolta in una specie di incantesimo generale che assorbe l’unicità di ciascuno in una bolla di uniformità. Allora Dio confonde le lingue, cioè ristabilisce le differenze, ricrea le condizioni perché possano svilupparsi delle unicità, rianima il molteplice dove l’ideologia vorrebbe imporre l’unico”.
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Il Signore, quindi, “distoglie l’umanità anche dal suo delirio di onnipotenza”.
L’invito del pontefice è stare attenti alle “ambizioni pericolose, alienanti, distruttive”; “il Signore, confondendo queste aspettative, protegge gli uomini, prevenendo un disastro annunciato”.
Per il papa questo racconto è molto attuale: “anche oggi la coesione, anziché sulla fraternità e sulla pace, si fonda spesso sull’ambizione, sui nazionalismi, sull’omologazione, su strutture tecnico-economiche che inculcano la persuasione che Dio sia insignificante e inutile”.
Oggi come ieri, invece, “il Vangelo è vivo” ed è la salvezza anche delle donne e degli uomini del nostro tempo. Il papa invita allora a guardare alla nostra epoca e alla nostra cultura come a un dono. “Esse sono nostre ed evangelizzarle non significa giudicarle da lontano, nemmeno stare su un balcone a gridare il nome di Gesù, ma scendere per strada, andare nei luoghi dove si vive, frequentare gli spazi dove si soffre, si lavora, si studia e si riflette, abitare i crocevia in cui gli esseri umani condividono ciò che ha senso per la loro vita”.
Uscire da questi ambiti significherebbe “impoverire il Vangelo e ridurre la Chiesa a una setta”. Frequentarli, invece, “aiuta noi cristiani a comprendere in modo rinnovato le ragioni della nostra speranza, per estrarre e condividere dal tesoro della fede «cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52)”
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