Quando parlo con le persone o ripenso alla mia vita, le scelte sbagliate, quelle che rifarei nonostante siano errate e quelle che non rifarei mai più, quelle che dipendono da me e quelle che altri hanno scelto per me, mi accorgo che fondamentalmente tutti i passi che compiamo, i progetti, gli appuntamenti mancati sono il frutto di un desiderio profondo: la ricerca della felicità.
Essere felici è l’orizzonte della nostra vita, il motivo per cui lottiamo, fatichiamo, sudiamo. Spesso non è neanche un sentimento “troppo narcisista” perché, ad esempio, quando amiamo una persona o nasce un figlio, il desiderio di felicità si estende. Desideriamo che chi amiamo sia felice e in qualche modo collaboriamo con tutte le nostre forze perché ciò avvenga.
Non è affatto sbagliato desiderare di essere felici. Dio ci ha creati per la felicità. Ci chiama ad essere cristiani felici. Ciò che magari ci sfugge è capire la definizione di felicità. Ho l’impressione, infatti, che ci sia molta confusione al riguardo. Sfuggiamo le domande più profonde per accontentarci di far coincidere in un matrimonio la felicità con: le cose – una bella casa, un’auto di lusso, un’operazione per aggiustare il naso storto -; i successi professionali e lavorativi; la realizzazione professionale dei nostri figli, l’uomo o la donna romantica dei nostri sogni. Fino ad accorgerci che, raggiunti tutti questi obiettivi, desideriamo ancora qualcos’altro. Perché? Semplicemente perché né le cose né le persone possono colmare quella sete di infinito che ci portiamo nel cuore.
Un cristiano sa che la felicità costa, che la vera gioia passa per la “porta stretta”, che non ci viene chiesto di essere solo delle brave persone ma la fede interroga, scomoda, mette in discussione, chiede di andare, di annunciare, di donarsi. “Vissero infelici e scontenti perché costava meno” è una celebre frase del giornalista e scrittore Leo Longanesi che riassume drammaticamente la realtà. In questo caso “felicità” ed “economia” sono due aspetti messi insieme in modo proverbiale e che a mio avviso denunciano proprio la tristezza che tanto spesso vedo sul volto dei cristiani, nella vita dei coniugi. Amare Dio, amare il proprio sposo, la propria sposa significa faticare. Essere attaccati alle cose e investire energie eccessive nelle cose – anche quelle giuste come la casa, l’automobile, il conto in banca – non è garanzia di felicità. La fedeltà costa, il mettere da parte se stessi costa, vivere la fede non come una camomilla costa ma è la condizione essenziale per vivere quella pienezza che già su questa terra e domani nell’eternità colma tutto il nostro desiderio di felicità.
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