13 Novembre 2023
Indi Gregory è libera in Cielo, cronaca di un’esecuzione di morte
Il cuore di Indi Gregory, la bambina inglese di otto mesi, affetta da una patologia mitocondriale, ha smesso di battere all’1:45 di questa notte. L’annuncio che papà Dean fa alla stampa della morte della loro terza figlia è straziante: “Mia figlia è morta, la mia vita è finita all’1:45. Io e mia moglie Claire siamo arrabbiati, affranti e pieni di vergogna. Il servizio sanitario e i tribunali non solo le hanno tolto la possibilità di vivere, ma anche la dignità di morire nella sua casa. Sono riusciti a prendere il corpo e la dignità di Indi, ma non potranno mai prendere la sua anima”.
La vicenda di Indi ci ha tenuti tutti con il fiato sospeso. Abbiamo pregato, scritto, seguito con attenzione le varie fasi di quello che è parso subito come un accanimento sì ma non terapeutico piuttosto ideologico. Fino alle estreme conseguenze. Non potrebbe essere diversamente dal momento in cui tutti i tentativi per strappare la piccola dalle fauci dei suoi esecutori mortiferi sono miseramente crollati.
Le domande bussano con prepotenza alle porte della ragione e chiederebbero delle risposte immediate: chi decide che la malattia ha fatto il suo corso e diventa irreversibile? Chi ha la facoltà di stabilire di non investire più tempo e risorse nella malattia, anche quando il tempo e le risorse esistono? Se fosse solo un problema economico di cure, l’Italia aveva espresso la volontà di farsene carico! E rispetto al diritto di vivere, nel caso di Indi, troppo piccola per esprimere una volontà, quel diritto non spetta forse ai suoi genitori, che volevano continuare a prendersi cura di lei?
Il tanto invocato “best interest” non è altro che essere amati e supportati da una civiltà umana che si prende cura di tutti, che anche nella sofferenza rivela il suo volto di accompagnamento. A me sembra invece che si voglia fare un atto di forza per dimostrare di avere autocontrollo assoluto sull’inizio e sulla fine della vita. Non leggo diversamente i fatti: il rifiuto di poterla portare a casa alla richiesta dei suoi genitori, trasportata in un hospice con la sorveglianza della polizia, con le guardie poste davanti alla sua porta come un efferato criminale o un pluriomicida. Con gli occhi della fede non posso non vedere la storia che si ripete. L’Agnello condotto al macello, l’Innocente tra le mani dei suoi aguzzini, la tunica tirata a sorte, le guardie a vegliare sul suo sepolcro.
E la gente cosa fa? La società ipocrita tollera l’uccisione di un disabile, di un malato terminale, di un depresso, di un drogato o malato oncologico non per il suo best interest ma semplicemente perché non accetta di vedere la debolezza, sfugge alla domanda sul senso della vita, misura l’esistenza umana con il profitto e l’efficienza. Così grida come duemila anni fa: “Crucifige! Crucifige!”. La coscienza è completamente offuscata. Di più. Sembra che si uccida per amore.
I loro occhi sono incapaci di riconoscere la bellezza della sacralità della vita, della sua intangibilità. Osano invece toccare, osano decidere di togliere il respiratore a Indi. Ma lei cosa fa? Continua a respirare, da sola. Per 12 ore dirà al mondo di non essere una malata terminale. Ma per essere sicuri che il processo mortifiero si compisse staccano anche l’idratazione e la nutrizione. Morta di fame e di sete. “Uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua”.
E sono lì anche io, da madre con la Madre. Vedo due genitori sfiniti che hanno lottato con tutte le forze possibili per salvare la figlia. Volevano continuare ad amare incondizionatamente quella dolce creatura che si sono visti strappata dalle braccia per decisione di uno Stato calcolatore e freddo. E in mezzo a tutto questo dolore hanno il coraggio di dire: “Sono riusciti a prendere il corpo e la dignità di Indi, ma non potranno mai prendere la sua anima”. Novelli Maria, sulla soglia del sepolcro, già con la piena speranza della vita che nessun boia potrà portare via né cancellare.
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