Assisto con tenerezza alle scene di dialogo tra genitori e figli piccoli. I loro sguardi, le parole, l’amore che trapela nonostante la stanchezza, gli abbracci spontanei…Sono momenti che si dovrebbero fotografare e conservare per sempre, insieme a tutte le altre fasi della vita. La relazione tra genitori e figli infatti non si esaurisce in una fase, cioè non sussiste fino a quando il figlio resta tra le mura domestiche, ma attraversa tutta la vita e rimane un punto di riferimento essenziale anche da adulti.
Il compito educativo dunque non è pro tempore. È chiaro però che diventa essenziale e determinante nella fase di crescita, quando si formano le personalità, la coscienza, si seminano i valori e le virtù essenziali. Lì bisogna intensificare l’impegno. Non affidarsi alle esperienza personali e cercare prima di ogni cosa il bene del figlio.
L’educazione è un lavoro di pazienza ma questa “benedetta” virtù oggi sembra soffocata dal ritmo incalzante della vita quotidiana divisa tra lavoro, palestre, musica, divertimento… Non che tutte queste cose non siano anch’esse importanti alla crescita ma ho l’impressione che questa mancanza di tempo e pazienza generi una certa propensione all’educazione del “sì” intesa come accontentare il figlio in ogni suo desiderio. Sopperire a tutte le sue difficoltà, rispondere a costo della morte alla sua richiesta dell’ultimo modello di smartphone. Tutto questo fa bene ai nostri figli? Evidentemente no, e forse percepiamo che non è una cosa buona ma cambiare direzione è difficile, dire dei “no” è faticoso e per questo sguazziamo nell’abitudine.
Perché i no invece sono necessari e fanno crescere? Almeno per tre ragioni. Innanzitutto perché danno sicurezza. I bambini ma anche gli adolescenti hanno bisogno di regole precise, esse sono come dei paletti che delimitano il percorso. Dicono loro dove devono andare e questo non alimenta l’insicurezza di non sapere cosa fare. La tanto decantata “libertà di scelta”, sbandierata come una conquista moderna, in realtà genera ansia. Non sapendo quali sono i criteri con cui scegliere finiranno per essere insicuri e titubanti davanti alle situazioni. Un figlio ha bisogno di capire dove andare e perché. Solo così potrà comprendere la strada e capire chi vuole essere.
I no poi irrobustiscono il carattere perché preparano un figlio alle inevitabili delusioni della vita: un brutto voto a scuola, il tradimento dell’amico del cuore, una partita persa nello sport. Non sono dei piccoli principi o principesse tiranni – è tutto mio e sono il migliore di tutti – ma comprendono che i desideri devono fare i conti con le altre persone o con le situazioni difficili o la mancanza di impegno.
I no poi fanno capire ad un figlio che ha bisogno di avere nella sua crescita una persona o meglio due genitori autorevoli, cioè in grado di accompagnare i suoi passi. I genitori-amici che si vestono come i figli, che mettono loro il preservativo nello zaino prima di uscire, che prestano la casa al mare durante l’adolescenza per le “prime volte” con le ragazze, non sono genitori al passo con i tempi, sono semplicemente ragazzini non cresciuti. I figli non hanno bisogno degli amici, quelli li hanno già, ma di qualcuno che aiuti loro a comprendere la strada.
Tutto questo significa soffrire e anche tanto… Da genitore mi rendo conto che i “no” sono dolorosi anche per chi li deve pronunciare ma è in gioco la felicità dei nostri figli e la loro maturità.
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