PECCATO ORIGINALE

Se l’uomo e la donna sono creati per amarsi, perché i fatti di cronaca nera?

19 Ottobre 2023

Charles Joseph Natoire, The Rebuke of Adam and Eve (particolare), The Metropolitan Museum of Art - New York

Nell’ultimo articolo che ho scritto, analizzando i primi capitoli della Genesi, siamo giunti alla conclusione che, secondo i racconti, l’uomo e la donna sono stati creati l’uno per il bene dell’altro. 

Se tutto è stato creato in maniera così affascinante, allora ci chiediamo il perché dei fatti che vediamo nelle pagine di cronaca. Cosa è successo? Perchè siamo arrivati a vivere situazioni di morte? Perchè ancora la guerra, più violenta che mai? 

Per queste domande sembra di scorgere qualche risposta nei primi capitoli della Genesi. Riscontriamo una prima avvisaglia già alla fine del capitolo secondo, al versetto 25, nel quale si legge: «Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, e non provavano vergogna».

Sembrerebbe una considerazione banale, ma pone in risalto che lo sguardo dell’uomo e della donna, nonostante le nudità di marito e moglie, era capace di penetrare il mistero dell’altro racchiuso nella corporeità

Hanno ancora uno sguardo carico di rispetto e amore che porta a considerare il corpo dell’altro come se fosse il suo proprio corpo e, quindi, non imbarazzato nel posarci sopra gli occhi.

Il corpo dell’altro non è prigioniero dello sguardo malizioso e della deviazione pornografica che tende a guardare la nudità dell’altro come oggetto desiderabile per raggiungere appagamento. 

Tra i due è facile ipotizzare che esista una grande intimità, questo spazio interiore che si apre tra Adamo ed Eva e che esprime una singolare mutua appartenenza in cui la soggettività di ciascuno può entrare in comunione con l’altro senza timore di perdersi o di essere forzato. Le cose, nella versione biblica, cambiano dopo la trasgressione del comandamento di non mangiare il frutto proibito. 

Qui, probabilmente, è racchiusa non solo la causa ma anche la soluzione al problema sociale che stiamo vivendo. Il capitolo terzo indica ciò che l’uomo non deve compiere se vuole che la sua vita sia felice.

Tutti nella vita hanno letto, almeno una volta, la vicenda di Adamo ed Eva che, ingannati dal serpente, mangiano il frutto della conoscenza del bene e del male. In questo racconto, che sembra avere caratteristiche fiabesche, troviamo i due alberi posti al centro del giardino di Eden. L’essere posti al centro sottolinea che ogni giorno, gli abitanti del giardino sono costretti a rapportarsi con essi. Due alberi, dunque, che fanno parte della vita ordinaria dell’uomo. Dell’albero della vita devono mangiare i frutti, ma di quello della conoscenza del bene e del male no. 

I più si chiederanno: “se non ne dovevano mangiare, perché crearlo? E se proprio era così necessario crearlo, perché non posizionarlo in una zona periferica in modo da poterlo vedere il meno possibile?” 

La risposta a questi interrogativi va cercata nel libero arbitrio di ogni essere umano. Entrambi gli alberi sono posti di fronte all’uomo e alla donna perché Dio vuole essere scelto nella più totale libertà. In altre parole, non vuole dei burattini, ma essere amato pienamente e liberamente da ciascuno senza alcuna costrizione. Se ci riflettiamo anche oggi noi siamo posti, quotidianamente, sotto questi due alberi e chiamati, in ogni istante, a scegliere, ad indirizzare la nostra vita.

Anche i “carnefici” dei fatti di cronaca hanno avuto la possibilità di scegliere.

Ad un certo punto del racconto sulla scena compare un personaggio molto strano: un serpente che ha le zampe e che si presenta come un essere pensante quasi al pari dell’uomo e della donna. Ci si rende conto che è l’icona del maligno che, nei testi sacri, è presentato come un essere di intelligenza superiore a quella umana ed inferiore a quella di Dio perché creatura e non dio. Questo personaggio inizia a dialogare con la coppia Adamo/Eva che erano presenti sotto l’albero. In questo dialogo risponde solo Eva ma, prima di prendere il frutto della disobbedienza si presume che si sia consultata con Adamo perché il testo sacro afferma: “ne diede anche al marito che era con lei”. 

Il peccato originale, definito così perché è all’origine di tutti i peccati, consiste nella superbia di riconoscersi dio. Il serpente, infatti, insinua in entrambi l’idea che Dio sia un grande bugiardo perché, se mangiassero il frutto proibito diventerebbero più grandi del loro Creatore. Dunque, Dio è bugiardo e, quindi, si può farne anche a meno perché, ecco la reale tesi del serpente, ognuno è il dio della propria vita. 

Ci si imbatte, oggi, in questo delirio di onnipotenza che sfocia in gesti di violenza verso il proprio simile. Gesti che, nella mente di chi li compie, sembrano quasi normali perché l’altro è propria proprietà e se ne può disporre a piacimento. A volte succede che dopo un gesto estremo lo stesso carnefice ha un momento di lucidità rendendosi conto che lui non è dio e della gravità del gesto compiuto e, come conseguenza ci si toglie la vita. Senso di colpa, quindi, ma forse anche supponenza divina che si può autocondannare: vittima, carnefice e giudice, ecco il delirio di onnipotenza.

Chi è, oggi, il serpente che sussurra mezze verità all’orecchio dell’umanità? Dove si nasconde? Nella banalizzazione di tutto? Dei valori che sono considerati superati in nome di una certa libertà, delle leggi della Chiesa e dello Stato che spesso non sono rispettate dai molti, dell’individualismo che porta ad una chiusura verso l’altro, dell’iper-sessualizzazione dell’altro (maschio e femmina) rendendolo oggetto, nell’essere diventati, non tutti, una società gaudente, nel senso negativo, che va ricercando solo e sempre la propria sazietà bandendo ogni forma di sacrificio e rinuncia che fanno parte della vita di ciascuno? 

LEGGI ANCHE: L’uomo e la donna? Creati l’uno per l’altra, non per sfruttarsi a vicenda! (puntofamiglia.net)

Il brano analizzato in maniera non esegetica suggerisce che l’uomo, quando è accecato dall’onnipotenza, resta prigioniero (captivus, cattivo) di sé stesso auto-centrandosi solo sul suo benessere personale. In questa situazione, il genere umano, pur di arrivare al potere massimo e, al godimento pieno, è disposto a rinnegare anche Dio che, nel racconto, è il Creatore. 

La saga del “Signore degli anelli”, come un’eco di quanto diciamo, ci ricorda che tutti, tranne i puri, di fronte all’anello che dona la possibilità di conferire il massimo potere, sono disumanizzati al solo posarvi lo sguardo sopra, rendendoli in grado di azioni abominevoli.

I due alberi del giardino di Eden ci ricordano e ammoniscono che di fronte alla tentazione c’è sempre la possibilità di scelta. 

Un’altra saga, quella di Harry Potter di J. Rowling, in “Harry Potter e l’Ordine della Fenice”, affronta il tema della libertà di scelta di ogni singola persona di fronte al bene e al male. Nella scena finale Potter è preso dall’odio verso colui che gli ha portato via i genitori ed il padrino. È preso dal desiderio di vendetta. Vuole uccidere. Decide, tuttavia, di non farlo. Il male gli sussurra all’orecchio che è un debole perché non ha la forza di farsi giustizia, ma Harry rifiuta la tentazione fino a quando Lord Voldemort non lo possiede. È in quel momento che si inscena la lotta tra il bene e il male. Solo Harry può operare la scelta definitiva, ma il maestro Albus Silente gli sussurra: “Harry non conta quanto siete simili (tu e Voldemort), ma quanto non lo siete”. In quel momento, in una lotta interiore spasmodica quasi simile a quella dei santi, Harry riesce a parlare con il male, dopo aver visto tutti i legami d’amore e di amicizia che lo hanno accompagnato fino a quel punto, sussurrando: “Tu sei il debole e non conoscerai mai l’amore e l’amicizia, e mi dispiace per te”. A questo punto il male è sconfitto dall’amore e gridando lascia il corpo di Harry profetizzando: “Sei uno sciocco. Perderai ogni cosa”. 

In realtà, nei “Doni della morte”, Harry che sembrerà morto, fa l’esperienza della vita che è al di là del mondo materiale incontrando Voldemort con un aspetto inaspettato. Il male si presenta come un mostriciattolo piccolo, rannicchiato in un angolo con postura fetale, rantolante, quasi fosse un animale nato male, per poco non abortito, ma ormai prossimo a spirare. Potter vuole aiutarlo, ma Silente gli dice che non può perché il male “è qualcosa che è al di là del nostro aiuto”. Silente aggiunge: “Non avere pietà dei morti (di coloro che hanno scelto di servire il male) provala per i vivi (coloro che si sforzano di servire il bene) e soprattutto per coloro che sulla terra vivono senza amore” perché è questa la fine che li attende. 

Alla fine, le parole profetiche pronunciate dal male “tu sei il debole e perderai ogni cosa” si riferivano a coloro che vivono rifiutando l’amore.

Il serpente, nel giardino, sussurra alla coppia umana qualcosa di simile: se non disobbedite, rinnegando l’amore, perderete ogni cosa.

Ecco perché, Adamo ed Eva, all’arrivo di Dio, si nascondono perché si sentono nudi. La loro nudità è soprattutto interiore perché si sono riscoperti complici di un’azione negativa e dunque non riescono più a fidarsi l’uno dell’altro. La cosa straordinaria è che di fronte all’interrogatorio di Dio Adamo incolpa Eva che incolpa il serpente e nessuno riesce ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Il filo della narrazione è accompagnato dall’affermazione: “non è colpa mia!”

Proprio come oggi. L’autore biblico fa risalire a quel momento l’ingresso della concupiscenza nel mondo. La concupiscenza riguarda lo sguardo degli esseri umani che cambia radicalmente iniziando a guardare l’altro non come persona ma come un mezzo, come oggetto da utilizzare per il proprio godimento e successo. L’altro non è più una persona da amare e rispettare. Come reazione alla concupiscenza subentrano la vergogna ed il pudore che conducono la coppia a coprire le parti intime affinché lo sguardo del proprio interlocutore possa focalizzarsi sui beni spirituali e intellettivi e non su quelli sessuali. L’autore biblico sa bene che la sessualità o l’iper-sessualizzazione della società, conduce alla dipendenza di quel godimento fisico e, soprattutto, a considerare l’altro un oggetto sessuale che non può rifiutare le richieste di appagamento personale. Insomma, non può essere libero di pensarla in altro modo. Ecco la conclusione dell’antropologia genesiaca: “Ogni crisi e ogni problema contemporaneo sono, nella loro radice, derivanti da una crisi di fede e dalla espulsione del preternaturale dal discorso contemporaneo”. 
L’affievolimento dell’autocomprensione creaturale e filiale dell’uomo moderno può generare i mostri al centro delle cronache. Non sono uccise solo le donne. Sono uccisi anche tanti uomini, bambini. Il concentrarsi sui femminicidi, come vengono definiti, offre solo una lettura parziale delle vicende. Sommessamente lo diciamo su queste pagine riproponendo anche parole ben più autorevoli. Nel novembre 2015 nel duomo di Firenze, Papa Francesco ebbe a dire queste parole che sembrano una risposta alla società attuale: “Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell’uomo. È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato». I racconti genesiaci su cui si è cercato di dire qualcosa, al loro epilogo, annunciano l’avvento di Gesù, modello di umanità libera di amare, verbo che oggi vive solo in un’accezione riduttiva e negativa.




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Assunta Scialdone

Assunta Scialdone, sposa e madre, docente presso l’ISSR santi Apostoli Pietro e Paolo - area casertana - in Capua e di I.R.C nella scuola secondaria di Primo Grado. Dottore in Sacra Teologia in vita cristiana indirizzo spiritualità. Ha conseguito il Master in Scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Da anni impegnata nella pastorale familiare diocesana, serve lo Sposo servendo gli sposi.

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