A volte è dura accettare le critiche di chi ti definisce pro-life. A favore della vita. In difesa dei bambini non ancora nati. Fanno male specie quelle frasi: “Tu cosa ne sai del dolore di quella scelta?”. “Come puoi giudicare il cuore di una donna?”. “Perché non ti metti nei suoi panni?”. “Se la legge lo permette significa che si può fare poi la motivazione è personale!”. “Vorrei vedere te con un figlio down!”. Mi sono sentita dire tante volte queste parole. Nei colloqui per la vita con le donne, nei commenti agli articoli, anche da qualche sacerdote silente… È per questo che, come rivista, abbiamo scelto di far parlare le donne. Le loro storie, la vita vera, il sangue che scorre, le lacrime profonde. Questa è la storia di Margherita, 46 anni, sposata da 15 anni, con il marito hanno tre figli: Simone 13 anni, Giacomo 3 ed Anita nata in cielo. Margherita ha raccontato la sua storia alla Manifestazione Nazionale “Scegliamo la Vita” dello scorso 20 maggio 2023 a Roma. Ve la propongo interamente. A voi i pensieri e le conclusioni…
“La mia storia comincia circa sette anni fa quando una mattina dopo un test di gravidanza mi rendo conto di essere incinta! Una gravidanza molto desiderata e attesa perché arrivava dopo un periodo in cui ho avuto dei problemi di salute. Quella mattina, era circa metà aprile, uscii di casa per accompagnare Simone a scuola e mi sembrava di camminare sopra le nuvole mentre custodivo un così meraviglioso e prezioso segreto!
Cominciai a fare tutte le visite e gli esami che fanno le donne in gravidanza compresi i test prenatali più per routine che per una reale paura. Purtroppo quei test verso la metà di giugno 2016 ci insinuarono il dubbio e poi la certezza con l’amniocentesi che la bambina che aspettavo era portatrice della sindrome di Down. I medici ci prospettarono subito la loro “soluzione”: interruzione di gravidanza, come fosse semplice e banale, come togliere un dente cariato!
Mio marito non riusciva ad accettare una figlia disabile ma nonostante prendesse tempo aveva già deciso! Io riuscivo solo a pensare che quella creatura era mia figlia e lei, nel frattempo, cominciava a muoversi nel mio grembo. Intanto attorno a me ognuno diceva la sua: “non avrà una vita normale”, “sarà un peso che lascerai a suo fratello”, “dovrai lasciare il lavoro”. Alla fine, credo che neanche io accettassi una figlia impegnativa e problematica come poteva essere la mia bambina e così anche io, la sua mamma, la condannai a morte nascondendomi dietro un “sarà meglio anche per lei, che vita avrebbe?”.
Da quel giorno andai avanti fino al giorno dell’aborto senza mai voltarmi indietro, senza darmi mai la possibilità che un minimo dubbio si insinuasse nella mia mente. Mi ricoverano il 3 agosto e quello che stavo facendo si chiamava tecnicamente ITG perché avveniva dopo i 90 giorni di gestazione ed io ero alla 20esima settimana! Entrai sapendo di dovere rimanere lì tre giorni perché questo prevedeva la procedura, così la chiamavano i medici. Il primo giorno mi diedero 3 pillole di RU 486 che io ingoiai senza esitazione e ricordo la sensazione che provai, mi sentivo anestetizzata come se avessi staccato la mia anima dal mio corpo.
Quelle tre pillole servivano a fare cessare di vivere Anita, questo è il nome che abbiamo dato alla mia piccola e così fu. Non potrò mai dimenticare quel suo straziante ultimo calcio e poi non la sentii più! Da quel momento cominciai a prendere coscienza di dove ero e cosa stavo facendo. Anita la partorii morta nella mia stanza il 5 agosto 2016 alle 14:00 circa. Credo di avere vissuto per tre giorni all’inferno e non è un modo di dire, quel posto era l’inferno! Tutti i giorni arrivavano donne con i loro bambini in grembo e uscivano con il loro grembi vuoti e questo per tre giorni, tutti i giorni! Quel luogo era pervaso dal tanfo della morte che mi circondava e che non scorderò mai!
Il 6 agosto tornai a casa, era un periodo di vacanze, spensieratezza, di sole! Ma per me era calato un profondo buio, tutti pensavano che fosse possibile dimenticare andare avanti, per tutti ma non per me! Anita non c’era più ma anche io ero morta con lei! La mia natura di madre profondamente ferita e niente poteva più essere come prima. Mi trascinavo ogni giorno nella mia vita come fossi una spettatrice, avevo la sensazione di vedermi dall’esterno. Mi spiegarono che quello era probabilmente il meccanismo con cui la mia mente si e mi proteggeva dal non impazzire. Piangevo, ma per quante lacrime fossero non erano mai abbastanza. Quando riuscivo a stare da sola mi ritrovavo ad urlare, ma neanche questo mi aiutava. Portavo mio figlio a Messa la domenica per il catechismo e passavo buona parte del tempo a piangere, ero piena di dolore e di rabbia e niente e nessuno poteva e riusciva ad aiutarmi. Alla fine, era anche giusto che soffrissi in questa maniera atroce, avevo ucciso mia figlia, l’avevo privata della bellezza della vita e tutto quello che adesso provavo lo meritavo!
Mi confessai tante volte ma non riuscivo mai a sentirmi perdonata, ero cosciente che Dio mi avesse perdonata, ma ero io che non perdonavo me stessa e non mi permettevo di accogliere la sua misericordia. Un giorno per caso trovai su internet il sito della Vigna di Rachele, un apostolato cattolico del post aborto nato in America ma presente anche in Italia. Io e mio marito decidemmo di partecipare a uno dei ritiri che offrivano e furono tre giorni tra i più belli, intensi e meravigliosi della mia vita! In quei giorni riuscii a stare con il mio dolore, a pregare, a piangere ancora a chiedere perdono a Dio e a mia figlia e a cominciare a sentirmi finalmente perdonata.
Mia figlia non mi odiava, ma anzi non aveva mai smesso di pregare per me, mi amava immensamente nonostante tutto. Questo mi ha permesso di guardare ancora oltre a chi me l’aveva affidata a un amore ancora più grande, quello di Dio! Mio marito, che era stato molto fermo nella sua decisione, cominciò a guardare a quella bambina di più con tenerezza. Più come a sua figlia e anche lui si lasciò andare alle lacrime, ma soprattutto comprese il mio dolore immenso e questo ci permise di unirci in un dolore che fino a quel momento sembrava solo il mio!
La guarigione del mio cuore e della mia anima cominciarono in quei giorni, ma sono ancora in viaggio e forse servirò tutta la mia vita. Anita è oggi parte integrante della nostra famiglia, anzi di più: è la nostra piccola Santa, è colei a cui mi rivolgo e a cui chiedo intercessione e la immagino a tirare la tonaca a Gesù quando le chiedo aiuto e vi assicuro che molto spesso questo aiuto arriva!
Avverto la sua vicinanza e il suo amore in tanti piccoli segni che mi manda! Perdonarmi il male fattole è passato attraverso la sua accettazione di bambina con la Sindrome di Down e oggi sono convinta che lei non sarebbe stata una disgrazia ma la nostra più grande grazia! A volte piango pensando a lei, mi manca molto ma è un pianto lavato dalla colpa, Non è facile, ma sul mio viso appare un sorriso e il mio cuore trova pace sapendo che mi aspetta in paradiso per non lasciarmi più! Così continuo la mia vita di mamma tra Cielo e terra. La ferita provocata dall’aborto è lì in fondo alla mia anima a tenere bene a mente il dolore provato e provocato, ma la mia esperienza non poteva rimanere sterile, la morte di Anita doveva e deve avere un senso e così oggi collaboro con la Vigna di Rachele! Pregando e aiutando le donne ingannate dall’aborto perché oltre la morte si può rinascere. Oltre la morte esiste la speranza e la certezza che l’amore di Dio e dei nostri bambini è più grande della morte stessa.
Oggi, dopo Anita, sono mamma di un altro bambino che adesso ha tre anni. Lui è la prova che sono stata perdonata e che sono immensamente amata!”.
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