CORRISPONDENZA FAMILIARE
Una Chiesa più divina e perciò più umana. In preparazione al Sinodo
2 Ottobre 2023
Tra pochi giorni si apre il Sinodo dei Vescovi. Un’assemblea che vede raccolti 364 delegati provenienti da ogni parte del mondo. Un terzo dei partecipanti è stato scelto direttamente dal Papa, gli altri sono stati eletti nelle assemblee episcopali. È il terzo appuntamento presieduto da Papa Francesco dopo quello dedicato alla famiglia (2014-15) e ai giovani (2018). Un Sinodo speciale non solo perché parla della… sinodalità ma perché è stato caricato di attese, troppe a giudizio del neo cardinale Fernandez, Prefetto della Dottrina della fede.
Non possiamo negare che l’Assemblea sinodale ha un sapore particolare, punto di arrivo di un lavoro iniziato nelle singole diocesi e poi confluito in un documento comune che chiede espressamente di ridefinire le priorità che oggi la Chiesa deve affrontare. Richiamando il ruolo dello Spirito, vero protagonista della vita ecclesiale, il Papa ha voluto precisare che questo appuntamento ecclesiale “non è un parlamento per reclamare diritti e bisogni secondo l’agenda del mondo, non l’occasione per andare dove porta il vento, ma l’opportunità per essere docili al soffio dello Spirito” (Omelia, 28 maggio 2023).
Il Sinodo invita a compiere un’attenta ricognizione del contesto ecclesiale, individuare le priorità e le scelte qualificanti. Dobbiamo prendere sul serio questo impegno ma, proprio per questo, dobbiamo evitare di cadere nella trappola del sociologismo che rischia di leggere la realtà a partire dalla… realtà, cioè dai bruta facta. La Chiesa è chiamata a guardare la storia con gli occhi di Dio, se vogliamo interpretare correttamente i fatti dobbiamo guardarli dall’alto. Prima di aprire gli occhi, dobbiamo aprire il cuore, prima di dire parole nostre dobbiamo accogliere la Parola.
Solo così possiamo attuare quella “lettura spirituale” che ci rende capaci di discernere “ciò che lo Spirito dice alle Chiese”, per usare una formula che ritorna frequentemente nell’Apocalisse. L’esperienza sinodale offre l’occasione di riscoprire la fede come la chiave interpretativa della realtà. Non possiamo negare che in questa fase storica la comunità ecclesiale si sente smarrita tra chi evoca un cambiamento radicale e chi si rifugia nella tradizione. Abbiamo bisogno di ritrovare le ragioni della fede e la certezza che abbiamo qualcosa da dire e da dare.
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Nei secoli passati la Chiesa ha avuto la forza di seminare nella società civile una cultura e una prassi ispirata al Vangelo. Tutto questo ha dato un volto ancora più umano al vivere civile e soprattutto ha permesso di considerare i giorni dell’esistenza solo come premessa di una vita che trovava il suo pieno compimento nella beata eternità. Ho l’impressione che oggi la Chiesa vada a rimorchio del mondo, con un’immagine poco ecclesiale ma assai efficace, potrei dire che il nostro export è sempre più limitato mentre facciamo entrare nel pensiero e nella prassi della vita ecclesiale tanta mercanzia che inquina il Vangelo.
Mi piacerebbe partire da una domanda: la Chiesa deve farsi vicina all’uomo o deve avvicinare l’uomo a Dio? È facile rispondere che questo interrogativo è falso perché non si tratta di impegni alternativi ma due facce della stessa medaglia. È vero, la Chiesa deve fare entrambe le cose. È necessario però distinguere il mezzo dal fine: farsi vicino all’umanità è la modalità che Dio ha scelto, ma l’obiettivo che ispira e orienta l’azione della Chiesa è quella di avvicinare l’uomo a Dio, la Chiesa s’immerge nella storia per offrire all’umanità la possibilità di incontrare Dio
“Non di una Chiesa più umana abbiamo bisogno, ma di una Chiesa più divina perché solo allora essa sarà veramente umana. Più la Chiesa sarà piena di Dio, più sarà capace di esprimere l’umanità”. Parole del cardinale Ratzinger (Meeting di Rimini, 1° settembre 1990). Una Chiesa troppo umana è quella che vuole il mondo, una Chiesa che parla delle cose della terra ma dimentica quelle del Cielo, una Chiesa che parla il linguaggio di tutti ma non insegna più il linguaggio di Dio. Una Chiesa che cerca il consenso degli uomini ma dimentica che il mondo si salva attraverso la follia della croce. Dobbiamo ritrovare il coraggio di seminare quelle parole che vengono da Dio e sono capaci di vestire di verità tutti i desideri che Dio stesso ha posto nel cuore dell’uomo.
Il vocabolo crisi è molto utilizzato oggi per descrivere e interpretare il contesto attuale, sia sociale che ecclesiale. In genere lo usiamo in un’accezione negativa, come mancanza di qualcosa, dimenticando che questa parola contiene l’idea di una sfida. In effetti il verbo greco krinō significa giudicare. Assumere una coscienza critica significa essere capaci di giudicare gli eventi per individuare una risposta più adeguata alla situazione. La crisi costringe a riflettere, chiede di ripensare e di riprogettare.
Ci sono quelli che si chiudono nella lamentazione e quelli che invece s’impegnano a far sorgere l’aurora: “Noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre” (1Ts 5,5), scrive l’apostolo Paolo. Noi siamo i cantori dell’alba, come annuncia con gioia il salmista: “Svegliatevi, arpa e cetra, voglio svegliare l’aurora” (Sal 107, 3). Vi sono quelli che attendono l’alba e quelli che contribuiscono a far sorgere il sole. I cristiani appartengono alla seconda categoria. Noi siamo certi che nelle notti della vita Dio apre strade nuove, come leggiamo nella parabola delle Vergini: “A mezzanotte si alzò un grido: Ecco lo sposo! Andategli incontro!” (Mt 25,6).
È questa la cornice in cui si muove la Chiesa sinodale. Una Chiesa che non si lascia turbare dagli eventi dolorosi perché sa che il buon Dio accompagna con amore i passi dell’umanità e sostiene la missione del suo popolo. Una Chiesa che vive la crisi come un’opportunità. Una Chiesa che si mette in ascolto per annunciare con nuovo vigore quella Parola che niente e nessuno può soffocare.
Vorrei che dal Sinodo uscisse una Chiesa che non si arrende ai potenti di turno ma si consegna nelle mani di Dio. Una Chiesa orante e apostolica, una Chiesa che rimane nel cenacolo per accogliere lo Spirito ma, al tempo stesso, resta nel mondo per seminare la gioia del Vangelo. Si tratta di far risuonare quella parola che secoli fa rimase impressa nel cuore di un umile frate: “Va’, ripara la mia casa”. È tempo di metterci in cammino per continuare quell’opera che da duemila anni il buon Dio realizza quando incontro uomini e donne che, con umiltà, decidono di mettere la vita a disposizione del Vangelo.
“Andate e fate discepoli tutti i popoli”: si conclude così il Vangelo di Matteo. Il mandato missionario potrebbe apparire come il manifesto delle buone intenzioni. Come può un gruppo di sconfitti pensare di portare la Parola di Gesù in ogni angolo della terra? Nessuno avrebbe scommesso un centesimo. E invece… dopo duemila anni sia qui, figli e testimoni di un Vangelo che continua ad essere sale della terra e luce del mondo.
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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