Educazione

Settembre: per un’insegnante l’inizio della scuola è sempre tempo di riflessioni

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(Foto: Monkey Business Images / Shutterstock.com)

di Mariangela Russo

Non si scandalizzino i puristi e i cultori della distanza, del distacco, del piedistallo educativo da cui si ergono a giudicare i figli, ma degli altri, si intenda; io sono un’insegnante che sente “propri” i figli degli altri. E non per una distorta percezione materna; ma per quel concetto di “cura” che a mio avviso si accompagna ad ogni processo educativo.

Di Mariangela Russo

Settembre. Un settembre caldo, afoso, assolato. Un settembre strano, inquieto, foriero di pensieri diversi, di macigni nuovi, che mi obbligano a pensare. A come possa fare, io. A dare il mio contribuito. A fare il mio dovere di insegnante, di educatrice, di adulta, di esempio. A cosa e come possa fare per i “miei” ragazzi: non sono forse anche “miei” questi ragazzi e queste ragazze che incrociano le loro vite e le loro giornate con me, in un tempo lungo e denso come gli anni che trascorriamo insieme? Si, lo sono. 

Non si scandalizzino i puristi e i cultori della distanza, del distacco, del piedistallo educativo da cui si ergono a giudicare i figli, ma degli altri, si intenda; io sono un’insegnante che sente “propri” i figli degli altri. E non per una distorta percezione materna; ma per quel concetto di “cura” che a mio avviso si accompagna ad ogni processo educativo, se tale processo vuole lasciare un segno, “insegnare”, appunto.

I miei studenti sono creature mie.

Mi ci sono voluti un discreto tempo e gli incontri giusti per comprenderlo e per costruire su questa verità finalmente posseduta una nuova consapevolezza educativa.

Non è debolezza, sia chiaro. Né sprovvedutezza. Né ricerca di attestazioni di affetto incondizionato.

È che non riesco a non considerare questi individui che guardo ogni mattina negli occhi come “miei”.

Ne ho bisogno, perché io “sento” i miei alunni. Li guardo, li scruto.

Io condivido con loro il mio “sapere”, la mia vita, il mio tempo.

Essi stessi sono il mio tempo e il mio lavoro.

Lo incarnano. Non ne sono solo i destinatari. Ne sono l’essenza, l’anima, la sostanza.

Leggi anche: Puoi essere un eroe a scuola? Sì, se l’eroismo è fare bene il proprio lavoro (puntofamiglia.net)

Settembre, tempo di riflessioni. Dopo i fatti tragici e di inaudita ferocia di Palermo e Caivano, è d’obbligo una riflessione.Non i discorsi sterili e politicizzati su di chi sia la responsabilità e perché, ma un’unica, impellente domanda: cosa posso fare io?

Come posso dalla mia posizione contribuire alla rifondazione morale (che parolone e che ambizione!) che pare, a questo punto e irreversibilmente, necessaria, urgente, improcrastinabile?

Se, come afferma Galimberti, i sentimenti non si posseggono in maniera intuitiva ed arazionale, ma si insegnano, e se ne favorisce, proprio a scuola,  l’interiorizzazione e la stratificazione, e se è proprio la letteratura a poter fornire quella “narrazione” che garantiva alle generazioni precedenti la trasmissione di contenuti etici e morali, e che oggi pare invece fortemente incrinata, allora, penso, alle soglie di questo strano e triste settembre, posso e devo fare qualcosa: cercare di fare sgorgare dalla letteratura, di tutti i tempi e di tutte le geografie possibili, nuovi significati e nuovi percorsi.
Nuove luci e nuova linfa.

Per dare ai “miei ragazzi”, adolescenti pieni di vita, di speranze, di sogni, ma anche portatori, a volte, di ombre e di oscurità mal celate, o non celate affatto, una nuova chiave per formarsi una coscienza civile e umana.

Per salvare sé stessi. E noi. Sarà questo il percorso a cui vorrei dare vita nelle pagine dei miei interventi. Una riflessione, un tentativo, uno sforzo di ricostruzione. La volontà di non darsi per vinti, per perduti.




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