VITA NASCENTE

“Test di gravidanza positivo? Già sai di essere madre. L’ho capito con un aborto precoce”

Oggi la storia di Alessandra, una donna di 31 anni, che ha saputo di aspettare il suo terzo figlio, per poi vivere il dramma, appena tre giorni dopo, di un aborto precoce. “Si sa di essere madri il giorno in cui si scopre di attendere un figlio. – spiega – Lo so per il dolore che provo in questo momento”.

Sono le tre di notte; mi giro e rigiro nel letto senza riuscire a prendere sonno: sono certa di essere incinta. Io e mio marito ci siamo aperti alla vita, quindi potrebbe essere così. “Vai a comprare un test?”, gli domando, svegliandolo.

“A quest’ora? No, lo faremo nei prossimi giorni!”. Mio marito non ha nessuna voglia di alzarsi, vestirsi e andare a comprare un test di gravidanza di notte, nei distributori automatici delle farmacie. Comprensibile, anche se io non sto nella pelle. Fatico a riprendere sonno. L’indomani mattina esco presto, mi reco al distributore della farmacia, perché non è ancora arrivato l’orario di apertura. 

Sono sola in casa: mio marito ha accompagnato i bambini a scuola. Faccio il test: positivo! La linea, però, è troppo sbiadita. Ne compro un altro. Stavolta il risultato è inequivocabile: incinta da 1-2 settimane. Piango. È bello avere un altro figlio, ma che responsabilità! Informo subito mio marito, che, come al solito, resta spiazzato. È felice, ma così sconvolto per la novità che non sa cosa dire. Io, invece, ho tanto da dire. Non riesco a tenere la notizia per me, così avviso in pochi minuti i miei famigliari più stretti.

Quando tornano i bambini da scuola, sentono me e il padre parlare concitati. Impossibile non mostrare emozioni, è una giornata diversa da tutte le altre… così li informiamo di ciò che sta succedendo. Siamo una famiglia, e loro sono abbastanza grandi per capire cosa significhi aspettare una sorellina o un fratellino. Si mostrano entusiasti, felici. Iniziano a cantare dalla gioia, a fare salti… a baciare la pancia. La vita che viene accolta, con la purezza e la spontaneità dei bambini.

In poche ore, un’intera famiglia cambia. Cambiano i progetti, le priorità. Iniziamo a fantasticare sul futuro in cinque. Inizio a ragionare su come organizzarmi con il lavoro, faccio mente locale di ciò che mi servirà. In poche ore, quella vita in arrivo ha già stravolto ogni cosa.

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Ci stiamo già impegnando mentalmente per farle spazio, siamo tutti disposti a rinunciare a qualcosa per accoglierla (come la vacanza in montagna prevista proprio per i giorni in cui dovrei partorire).

Poi… appena tre giorni dopo, accade l’inimmaginabile: il fratellino o sorellina non c’è già più. Non ha trovato accoglienza nell’utero materno: perché, se eravamo tutti così felici di accoglierlo? 

“Non è proprio iniziata una gravidanza – mi ha detto il ginecologo – La gravidanza inizia con l’impianto nell’utero…”. “Quindi non c’è mai stato un embrione? Perché due test sono risultati positivi?”.

“Non è chiaro in che fase il processo di inizio della gravidanza si sia interrotto. Potrebbe esserci stato un embrione, ma di sicuro non è avvenuto l’annidamento. Succede molto più spesso di quanto non si pensi…”.

Non sapremo mai con certezza cosa sia avvenuto: se si era formata già una nuova vita umana o c’è stato solo un tentativo; eppure, una cosa la so: con un test di gravidanza positivo già inizi a cambiare come donna, cambia il tuo cuore, sai già che ti è chiesto di essere madre. 

“Perché Dio ci ha fatto questo?”, ce lo siamo chiesti tutti. 

La cosa più brutta è stata pensare che un piccolo ci fosse davvero, ma non avesse trovato accoglienza nel mio utero. Sconvolta, ne ho parlato con un sacerdote, che mi ha detto di offrire la mia sofferenza per tutte le donne che rendono volontariamente il loro utero ostile alla vita.

Non so se Dio mi darà la gioia di vivere di nuovo l’esperienza della maternità, però questa storia mi ha insegnato che davvero la vita viene a chiedere accoglienza fin dall’inizio. A tratti mi sono pentita di aver comunicato l’esistenza di questo piccolo ai miei figli, poi, però, mi dico se un lui o una lei c’è stato/a, anche se ha vissuto pochi giorni… meritava di essere accolto o accolta così, con il loro calore. Meritava che gli facessimo tutti festa. Ognuno di noi è unico, speciale, irripetibile. E il suo arrivo merita di essere festeggiato.




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