Sono sola oggi a pranzo. Decido di dedicare queste due ore ad una passeggiata. Prendo l’auto e in pochi minuti raggiungo un paesino della costiera amalfitana. Il paesaggio mi proietta in uno spazio di serenità. Sono bastati pochi chilometri per lasciarmi alle spalle il traffico delle strade, il rumore dei clacson e il vociare della gente per strada. Ma i pensieri mi hanno seguita. Quelli non li ho potuti lasciare, continuo a portarli in groppa come un pesante zainetto.
Comincio a passeggiare su quel lungomare che mi è così noto. Riaffiorano ricordi del passato che si mischiano ai pensieri. Il mare è calmo, una tavola, sulla spiaggia due cani si rincorrono felici. Un vecchietto con la barba lunga e un cappello di paglia è intento ad aggiustare una rete. Sembra uscito da una foto di un’altra epoca. Lo guardo e penso che vorrei anche io con le mani aggiustare tante situazioni dolorose intorno a me. Ricucire, rammendare, avere quelle parole giuste da consegnare a chi si trova lontano in questo momento dal suo vero bene. Vorrei potergli dire di fidarsi, che ora non può comprendere perché la stanchezza gli offusca il cuore e la mente ma è la strada più difficile quella giusta. Sempre.
Non posso farlo. Non si può parlare a chi decide di mettere una distanza incolmabile. Ogni tentativo rimbalza come palla su un muro di gomma. Lo guardo da lontano scalare la montagna da solo mentre la croce si fa sempre più pesante; eppure, nei suoi occhi c’è il miraggio che raggiunta la vetta, sarà finalmente libero. Chi è veramente libero quando smette di amare donandosi e vuole trattenere per sé nell’illusione che un po’ di pace e di vita in fondo se l’è meritato dopo tanto lavoro? La libertà è un’illusione molto pericolosa quando non è vissuta nella prospettiva degli altri. Quando è solo ricerca di una propria felicità. E si avanza imperterriti senza contare i morti e i feriti che si lasciano sulla via.
Stanca dei pensieri più che della passeggiata, mi siedo su una panchina con lo sguardo rivolto all’orizzonte. Da qualche parte ho letto che guardare il mare spalanca l’anima all’infinito. È vero, mi sento più vicina a Dio. All’improvviso mi sento tirare per la giacca, è una bambina. Si chiama Daniela. Avrà avuto cinque o sei anni. È paffuta e con dei grandi riccioli neri. Mi chiede se posso farle una foto con il suo papà che da lontano scrolla le spalle in segno di scuse per il disturbo della sua bambina. Afferro il telefono che la bambina mi porge e comincio a fare foto a quella meravigliosa coppia di figlia e papà che si abbracciano e sorridono sulla spiaggia.
La bambina corre da me a riprendere il telefono e mi dice: “Grazie, ora le mando alla mia mamma”. Sorrido felice per quella premura filiale quando la bambina che si chiama Alice ha aggiunto: “La mia mamma è andata in Cielo a Natale. Però io non sono triste perché il mio papà mi ha detto che la rivedrò quando anche io andrò in Cielo ma mentre aspetto le invio le foto sul suo cellulare”. Ho guardato il papà ma i miei occhi erano già annebbiati dalle lacrime quando ho detto alla bambina che la sua mamma doveva essere felicissima di ricevere tutte quelle foto. Ci siamo salutati e ho pensato mentre afferravo la borsa per tornare a casa: “Anche oggi hai scalzato i miei pensieri, e mi hai costretta ad alzare lo sguardo”. La fede è essenzialmente questo: una bambina che si fida dell’amore di una madre che sa restare tale nonostante il dolore e oltre la morte. Oggi alziamo gli occhi al Cielo con la stessa fiducia e la stessa certezza.
(Tratto da “La si chiamerà donna. Storia di figlie, sposi e madri sui passi di Maria”, Punto Famiglia, 2023)
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