28 Agosto 2023
10 nuovi novizi in Vietnam, la fede che genera fiori tra le persecuzioni
In Vietnam, paese dove il partito comunista è ancora al potere e dove i cristiani sono circa 9 milioni su 100 milioni di abitanti, il 19 agosto scorso, 10 giovani vietnamiti hanno pronunciato i primi voti a Ho Chi Minh City nel corso di una cerimonia cui hanno partecipato decine di religiosi e centinaia di fedeli provenienti da diverse zone della metropoli del sud del Vietnam. Secondo padre Rosario Taliano, missionario della Società delle divine vocazioni (Sdv) originario di Napoli, il Vietnam è una terra di missione, una realtà feconda per nuove vocazioni e per l’annuncio del Vangelo. Lui è lì dal 2017 proprio per evangelizzare e cercare nuove vocazioni. Dall’arrivo di padre Taliano sempre più giovani vietnamiti hanno espresso il loro desiderio di unirsi alla comunità religiosa.
Il Vietnam ha 27 diocesi e bisogna dire che nel Paese, la religione principale è il buddismo. Inoltre la World Watch List 2023, l’elenco dei 50 stati in cui i cristiani sono più duramente perseguitati colloca questa nazione al 25° posto tra gli stati in cui si registra un livello molto elevato di persecuzione. Il potere controlla le attività dei cristiani e concede loro una limitata libertà di azione. Quelli che si convertono, dal buddismo al cristianesimo subiscono una dolorosa persecuzione non solo da parte delle autorità, ma anche di famigliari, amici e vicini. Eppure in questo contesto martoriato le vocazioni aumentano. La vita consacrata affascina, l’amore per l’annuncio e l’evangelizzazione spinge questi giovani a dare la vita.
Come è luminosa la loro testimonianza davanti alle tante chiacchiere che spesso facciamo anche noi, Chiesa italiana, per la pastorale vocazionale. Cercando iniziative e percorsi per convincere i giovani a scegliere la strada della consacrazione. Un lavoro senza dubbio utile ma che spesso manca di una motivazione più profonda e più evangelica. Si sceglie la vocazione religiosa o presbiterale per donare la vita, per consumare le suole delle scarpe nell’annuncio del Vangelo e nella carità verso i fratelli più poveri. Non certo per fare una vita comoda o assicurarsi una carriera o, peggio ancora, restare inchiodato a studiare per accumulare titoli di studio. Viviamo in un mono in cui la testimonianza semplice, radicale, è quanto mai necessaria. E se fiorisce lì dove le difficoltà di vivere la fede sono maggiori, significa che il buon Dio davvero semina a larghe mani in quelle terre dove si spande maggiormente il sangue dei martiri.
Il Cardinale Van Thuan (1928-2002) non può essere considerato un martire, perché non è stato ucciso in odio alla fede. Ma lo è per tanti motivi. Fu imprigionato nel 1975, quando i Vietcong entrarono a Saigon. E rimase in carcere 14 anni. Qui riscriveva a memoria il breviario in piccoli fogli di carta essiccati, ogni giorno celebrava messa con tre gocce di vino e una di acqua in una mano, e prendeva l’eucarestia con il pane fatto in piccoli biscotti che riusciva anche, attraverso una ingegnosa rete, a far distribuire anche ai carcerati. Liberato nel 1989, ma tenuto agli arresti domiciliari a 1700 chilometri dalla sua diocesi, il cardinale Van Thuan non si lamentò mai, mai un giudizio negativo o un benché minimo risentimento. Non si poteva non notare il suo totale abbandono alla Volontà di Dio. Una bella testimonianza che ancora oggi insieme a quella di tanti altri fratelli vietnamiti produce frutti abbondanti.
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