CUSTODIRE IL CORPO

“Mi mostro nuda per indignare i moralisti”; ma la vera gioia è essere custodite!

Una modella si mostra senza veli sui social e subito fioccano i commenti. Lei si dice “felice di suscitare l’indignazione dei moralisti”. Senza giudicare la persona, ci chiediamo: che tipo di sguardi attira una donna che si pone in questo modo? Come spiega Antonio De Rosa: “Noi non siamo mendicanti, noi siamo figli di Re e il nostro corpo non è per tutti… è solo per un altro re o un’altra regina”.

Qualche giorno fa, navigando su Instagram, mi capita sotto agli occhi la foto di una giovane modella (è famosa, ma preferisco non fare il nome) senza veli.

Ad accompagnare la foto, una didascalia, nella quale la donna spiega di aver avuto dei dubbi prima di postare l’immagine. I dubbi, però, se ne sarebbero andati pensando alla “felicità” di vedere certi “individui moralisti” indignarsi di fronte alla sua posa.

E, in effetti, sotto alla fotografia si sono alternati commenti di approvazione per la libertà della donna (“Ognuna può mostrarsi come vuole!”) a commenti di persone scandalizzate e/o contrariate dall’ostentazione del corpo.

Il messaggio della modella è chiaro: “Bene o male, purché se ne parli”. Questa massima, su Internet, vale ancora di più. Chi guadagna con i social, sa bene che le visualizzazioni e le condivisioni sono la chiave del successo. Più una foto crea discussione, più un profilo è visionato, più la pagina cresce. 

Tuttavia, prima di liquidare la vicenda come semplice tentativo di lucrare grazie al proprio corpo, credo sia interessante farci delle domande. Che tipo di sguardi attira una modella che decide di mostrare a tutti il suo corpo senza veli? 

Nel mondo di oggi, dove la censura non esiste praticamente più, che sia “libera di farlo” è scontato. Ci chiediamo, però: perché una donna dovrebbe farlo? 

È davvero “felice per l’indignazione”? Cosa se ne fa del disprezzo della gente?

E se invece vuol essere ammirata nella sua bellezza (cosa più probabile), perché pensa sia quello il modo migliore per essere apprezzata?

A giugno, mentre navigavo sul blog “Matrimonio cristiano”, mi è capitato di leggere un articolo dal titolo “Come volete essere guardate?”, di Antonio De Rosa. 

Dopo una doverosa premessa (“Non voglio evocare divieti di talebana memoria. In nessun caso il modo di vestire della donna può giustificare comportamenti offensivi e volgari da parte dell’uomo. Su questo non deve esserci dubbio e non voglio essere frainteso”), Antonio avvia una riflessione su come a volte le donne non si rendano conto di ottenere – con i loro comportamenti – il contrario di ciò che vorrebbero.

Antonio si domanda: “Perché le donne hanno tutto questo desiderio di spogliarsi? Che lo ammettano o meno, non è per una battaglia di liberazione sessuale femminista. La realtà è che molte si mettono in vetrina. Piace loro l’idea di piacere. E a chi non piace essere ammirati e guardati? Forse però non si rendono conto di come l’uomo è fatto e di come le guarda”.

Leggi anche: Don Alberto Ravagnani: “La sessualità è la fonte di sofferenza più grande per i ragazzi” (puntofamiglia.net)

Secondo l’autore dell’articolo, la donna che cerca di attrarre l’attenzione spogliandosi, non attira sguardi su di sé, come crede, ma solo su determinate parti del suo corpo: “È vero che siete guardate, ma non siete ammirate per la vostra sfolgorante bellezza, data da un insieme di caratteristiche fisiche e spirituali. Spesso gli uomini si soffermano su alcune parti del corpo e tendono a identificare e ridurre la donna a quella parte del corpo”. 

Al di là di ogni moralismo, ci chiediamo: davvero ci piace essere guardate in questo modo, come “cose”?

Adamo ed Eva, nel giardino, erano nudi. Lo racconta il libro della Genesi. Nella loro nudità non vi era nulla di male. Il problema è che successivamente c’è stato il peccato originale. 

E il peccato originale ci porta – tutti! – a voler usare l’altro. 

Il nostro corpo e lo sguardo su di esso sono stati redenti da Cristo, ma occorre un cammino, occorre accogliere la redenzione, occorre lasciarsi purificare, occorre scegliere la castità, virtù che non è affatto scontata. Non è automatica in chiunque. Tantomeno lo è nel mondo dei social.

Perché non aiutarci vicendevolmente in questo cammino? Perché, uomini e donne, non cerchiamo di comprendere la psiche dell’altro e non cerchiamo di favorire la purezza negli sguardi di chi condivide la strada con noi, anziché alimentarne la malizia?

Su questo magazine, spesso abbiamo parlato di pudore. 

Avere pudore non significa essere chiusi o bigotti. Antonio, nell’articolo sopracitato, lo spiega così: “Il pudore è protezione della nostra ricchezza, della nostra intimità, che non è qualcosa da svendere e rendere disponibile per tutti, ma qualcosa da preservare e custodire solo per una persona disposta a legarsi a noi per la vita e capace di apprezzare fino in fondo la nostra bellezza e la nostra unicità”. Per Antonio “chi non ha pudore spesso è un mendicante, un mendicante d’amore, persone disposte a mettersi a nudo di fronte a tutti pur di ricevere attenzione e consenso. Noi non siamo mendicanti, noi siamo figli di Re, siamo di stirpe regale e il nostro corpo non è per tutti. Il nostro corpo è solo per un altro re o un’altra regina, persone capaci di guardarci e non violarci o avvilirci con il loro sguardo, ma capaci di farci specchiare nei loro occhi e farci ammirare tutta la nostra bellezza”.




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Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

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