“Il cammino della perfezione”, da Santa Teresa D’Avila alcuni spunti per gli sposi cristiani

coppia

Se è vero che per le suore si opera giustamente un lungo discernimento, come mai, si ammette al sacramento delle nozze tutti coloro che lo chiedono anche con una preparazione minima e senza un discernimento adeguato? Ai più “fortunati” vengono offerti dodici incontri prematrimoniali e poi immessi e lasciati soli nella vita coniugale. Eppure, come nota Santa Teresa D’Avila, il matrimonio è una scelta di vita vincolante e definitiva.

Nel testo che Teresa d’Avila consegna alle sue monache dal titolo “Il cammino di Perfezione” si trova un capitolo illuminante nel quale la santa illustra come sopportare le mortificazioni fisiche, cioè quelle che scaturiscono dalle sofferenze naturali che il corpo deve sopportare quando è malato o quando è sottoposto a malesseri passeggeri. Teresa invita le sue “figlie” a non lamentarsi dei fastidi fisici, ma a sopportarli con amore e offrirli al buon Dio per la propria santificazione, quella della Chiesa, in particolare dei Pastori, e per la salvezza delle anime. Invita le sue figlie a non essere delle “donnicciole neppure all’apparenza”, ma a comportarsi “come uomini forti”. 

“Il nostro corpo – scrive – ha un difetto: quanto più lo si accontenta, più aumentano le sue esigenze (…) ciò inganna la povera anima, impedendole di progredire nella perfetta orazione”. Mentre spiega queste cose, la santa offre un esempio coniugale: “Ricordatevi anche di molte donne maritate. So che ce ne sono, e di altre, che, molto malate, per non dare preoccupazione al loro marito, non osano lamentarsi, pur in grandi travagli”. 

Teresa, da ragazza, per completare la sua istruzione era stata mandata dal padre a studiare in un monastero. Scrisse: “Avevo tanta paura che mi venisse la vocazione religiosa ma nel medesimo tempo sentivo una gran paura anche per lo stato matrimoniale”. Teresa aveva ben chiaro che le due vie non sono semplici da percorrere. Entrambe le si presentavano come due salite ripide. Scegliere la via monacale, a suo avviso, era il percorso più semplice perché bisognava preoccuparsi solo di piacere a Dio ed innescare una guerra solo “contro sé stessa” ed i limiti della condizione umana perché “si entra in monastero per morire per Cristo, non per trovare in Lui consolazioni”. A proposito delle faccende mondane, sollecita le sue monache a pregare molto per quanti vivono nel mondo, con queste parole: “Pensate, figlie mie, che sia poca fatica avere a che fare col mondo, vivere nel mondo, contrattare nel mondo, rendersi disponibili a colloquiare nel mondo, e sentirsi interiormente estranei al mondo, nemici del mondo, vivere come chi è nel deserto, infine, non essere uomini, ma angeli? (…) [queste persone] devono essere distaccate dalle cose che terminano, per allegarsi alle cose eterne (…) contro chi devono combattere se non contro il mondo?”. 

Afferma tutto ciò ben sapendo che dalla vita monacale si può anche essere “liberati” o cambiare monastero se lo si ritiene non conforme alle proprie aspettative. La donna sposata non ha tutti quei vantaggi. Non può cambiare marito né figli, eppure è chiamata a soffrire in silenzio pur non avendo fatto la scelta della contemplazione e, soprattutto, non avendo ricevuto gli strumenti di formazione che vengono offerti alle monache. Continua: “Noi non veniamo qui per essere più viziate di loro. Libere dai grandi fastidi del mondo, imparate a soffrire un po’ per amore di Dio senza che tutti debbano saperlo! Una donna che si accorge d’essersi mal sposata, perché non lo sappia suo marito, non ne parla e non se ne lamenta: sta davvero male e nulla la conforta”.

Una donna che ha fatto un cattivo matrimonio deve fare tutto il possibile per recuperare quella relazione. Questa sposa è chiamata ad amare consumandosi per gli altri, costruendo buone relazioni d’amore e non distruggendole perché: “È tanta l’importanza dell’amore vicendevole che non dovreste mai dimenticarvene”. 

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La sua vocazione consiste esattamente, infatti, nel costruire relazioni proprio là dove queste vacillano. Ovviamente, la santa parla al femminile perché si rivolge alle sue monache, ma il nostro discorso si declina anche al maschile, a parti invertite. Rivolgendosi alle sue monache così esclama: “Non saremo capaci di trattenere tra noi e Dio solo i mali che permette per i nostri peccati? Tanto più che nel raccontarlo il male non passa! (…) O siamo spose di un Re tanto grande, o no. Se lo siamo, quale moglie onorata esiste che non partecipi dei disonori patiti dal suo sposo? Pur non volendolo, infine, entrambi partecipano di onori e disonori. È assurdo voler partecipare e godere del suo regno senza partecipare anche di disonori e fatiche”. 

Più volte Teresa, nei suoi scritti, riporta paragoni tra la vita religiosa e il mondo laico, soprattutto con il matrimonio, e sempre guarda con ammirazione chi è nel mondo e si sforza di servire ugualmente Dio. Oggi, invece, si ritiene che la scelta della vita religiosa sia molto più dura ed eroica di quella operata da due sposi. 

Tempo fa, a conclusione di un percorso di preparazione al matrimonio, portammo il gruppo dei nubendi in un monastero di suore di clausura, per mostrare a quei ragazzi anche la strada monastica. Concordammo con la madre un breve incontro con i ragazzi all’interno del quale lei avrebbe anche condiviso la sua scelta vocazionale. Ad un certo punto la madre ebbe a dire che, quando entrò nel monastero, sentì chiudersi le porte alle spalle e ciò sottolineava che quella scelta era per tutta la vita, che non avrebbe più avuto la possibilità di retrocedere. 

Tra i presenti una persona le fece notare che, in realtà, le porte si chiudevano definitivamente solo alle spalle degli sposi e non a lei. Gli sposi, dopo la consacrazione nuziale non possono accedere al divorzio, se non in caso di unione illegittima. Se hanno contratto un cattivo matrimonio lo devono accettare nel nome della santa sopportazione, cercando comunque di costruire ed amare. La madre restò senza parole. Si leggeva nei suoi occhi lo smarrimento. Dopo un breve silenzio, diede ragione alla persona che aveva fatto l’osservazione. Lei non aveva mai pensato che ad operare effettivamente una scelta senza ritorno fossero proprio i coniugi, che non possono né tornare indietro, né cambiare il coniuge o i figli. 

Nonostante sapesse che le monache potessero tornare indietro nella loro scelta vocazionale, Teresa era molto rigorosa e non voleva accettare subito le ragazze che chiedevano di entrare nella vita religiosa. Affermava che: “La monaca che si sente inclinata alle cose mondane, se ne vada se non la si vede correggersi (…) Lo faccia, se non vuole avere un inferno di qua, e, Dio non lo permetta, un altro di là – perché – (…) l’anima scontenta è come chi ha un gran disturbo, che, per buono che sia il mangiare, si impunta, e anche quello che gli altri mangiano con gusto, le dà nausea. Altrove quell’anima avrà più facilità di salvezza e magari, a poco a poco raggiungerà la santità”. 

Teresa invita a vigilare bene su chi accogliere all’interno del monastero perché ha a cuore la salvezza delle anime. Se una ragazza venisse accolta nel monastero nonostante quella via non sia per lei, il danno sarebbe grande sia per il monastero che non progredisce nella santità e sia per la sua anima che rischia la perdizione. 

Se tutto ciò che afferma Teresa è vero, perché frutto di esperienze personali, è lecito porsi delle domande. Se è vero che la vita nel mondo è più difficile di quella nel monastero e se è vero che per le suore si opera giustamente un lungo discernimento, come mai, ancora oggi, si ammette al sacramento delle nozze tutti coloro che lo chiedono anche con una preparazione minima e senza un discernimento adeguato? Ai più “fortunati” vengono offerti dodici incontri prematrimoniali e poi immessi e lasciati soli nella vita coniugale. Eppure, come dice Teresa per la monaca non idonea, anche gli sposi, se non sono adatti alla vita coniugale, sono causa di perdizione per loro stessi, per i figli e le persone che li circondano. Perché a questo sacramento che non consente di tornare indietro, non è ancora offerta una preparazione adeguata e molto lunga prima di essere amministrato?

Eppure, anche nel sacramento delle nozze molte anime possono perdersi e vivere l’inferno già qui sulla terra sia chiedendo la separazione e sia continuando a vivere un matrimonio di facciata. Quante anime di sposi scontenti oggi ci sono? Quanti sposi vivono il dramma della separazione perché costituzionalmente incapaci a contrarre matrimonio o perché nessuno li ha formati alla vita coniugale che si fonda sulla costruzione quotidiana del “Noi coniugale” e sull’amore di donazione? Non è detto che la causa di queste sofferenze sia solo dei coniugi che con superficialità si sono accostati al sacramento delle nozze. Forse la responsabilità grande è anche di chi aveva il compito di formarli scrupolosamente alla coniugalità e vigilare sulla loro adeguatezza alla vocazione matrimoniale. Questi sposi avranno poi addosso il “giogo” dell’impossibilità di uscire dalle nozze. Davvero non ci importa della salvezza di questi figli di Dio al punto tale da lasciare tutto così?




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Assunta Scialdone

Assunta Scialdone, sposa e madre, docente presso l’ISSR santi Apostoli Pietro e Paolo - area casertana - in Capua e di I.R.C nella scuola secondaria di Primo Grado. Dottore in Sacra Teologia in vita cristiana indirizzo spiritualità. Ha conseguito il Master in Scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Da anni impegnata nella pastorale familiare diocesana, serve lo Sposo servendo gli sposi.

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