GMG 2023
La speranza che proviene dalla GMG 2023
Una lettura della Giornata mondiale della Gioventù interessante ci propone la dott.ssa Stefania Garassini, presente a Lisbona per Punto Famiglia insieme al milione e mezzo di giovani radunati intorno a Papa Francesco. Un invito ad uscire dagli schemi mentali e culturali che spesso ingabbiano questa generazione e lasciarci attraversare da quella presenza così gioiosa e così piena di speranza che si è consumata in questi giorni in terra portoghese.
“Oggi noi abbiamo bisogno di un po’ di luce, di un lampo di luce che sia speranza per affrontare tante oscurità che ci assalgono nella vita, tante sconfitte quotidiane”. Con queste parole Papa Francesco si è rivolto al milione e mezzo di giovani che partecipavano a Lisbona alla Messa conclusiva della ventitreesima Giornata Mondiale della Gioventù.
“Il nostro Dio illumina il nostro desiderio di fare qualcosa nella vita”, ha continuato il Santo Padre, commentando il Vangelo della festa della Trasfigurazione di Gesù. E a Lisbona era palpabile il clima di speranza e di apertura al futuro tra i giovani: non una riflessione teorica, ma una gioia semplice, spontanea, vissuta. È ben vero che poi si tratterà di vivere tutto questo nella quotidianità, aprendosi agli altri e al “rischio di amare”, come lo ha definito il Papa. Ma una cosa è certa: da qui, ascoltando i ragazzi, tutto sembra possibile. E stride il contrasto con i dati che ci parlano di una generazione che attraversa la più devastante crisi di salute mentale della storia, con sintomi di ansia e depressione in aumento in molte parti del mondo (e un’impennata in particolare negli Stati Uniti). E che ci descrivono giovani persi nei labirinti social, sempre più in difficoltà nell’affrontare le sfide del mondo reale.
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Dati certamente attendibili, e da non minimizzare. Chiediamoci allora perché di quanto successo a Lisbona si parla così poco sui nostri media, mentre si continua a proporre una narrazione dei giovani improntata perlopiù al pessimismo, alla mancanza di speranza, come se l’adolescenza fosse prima di tutto una sorta di “malessere”, da lasciar sfogare in tutte le sue conseguenze anche più devastanti (che possono portare a diverse forme di dipendenza più o meno grave) oppure al contrario da “anestetizzare”, proponendo, da parte degli adulti, risposte “tecniche”, come eccellere nello studio, intraprendere una brillante carriera, avere una vivace e intensa vita sociale e così via.
Tutto sacrosanto, ma la domanda che arriva molto chiara dai giovani di Lisbona, è quale sia il senso di tutto ciò. Perché farlo? Non sono in molti ad azzardarsi a rispondere. Tutto dice di volare basso, di puntare al piccolo cabotaggio, oppure si concentra in prevalenza sugli aspetti “patologici” dell’adolescenza. E questo lo vediamo ad esempio nelle rappresentazioni che ci offrono le serie tv di maggior successo, che ritraggono giovani impegnati a lottare contro drammi indicibili (dal suicidio, alla dipendenza alle profonde crisi d’identità) o al contrario invitati a banalizzare, a cercare di divertirsi, senza porsi troppi problemi. Mentre la dimensione religiosa, o comunque legata a percorsi di ricerca spirituale, è quasi totalmente assente nella produzione seriale.
Eppure, come scriveva David Foster Wallace, “c’è una sorta di strana insoddisfazione, di vuoto, al cuore del proprio essere, che non si può colmare con qualcosa di esterno; e la sfida che ci si prospetta, in particolare, sta nel fatto che non c’è mai stata così tanta roba, e di qualità alta, proveniente dall’esterno, che sembra tappare provvisoriamente quel buco, o nasconderlo”. Raccontare le storie dei giovani di Lisbona, dargli spazio, ascolto, rilievo, è parlare di una possibile risposta a quel vuoto, è allargare lo sguardo a una visione più ampia della realtà, è aprire gli orizzonti, dare speranza. Quella speranza che oggi, ci dicono le statistiche, è merce rara tra i ragazzi. E quanto mai necessaria.
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