Quando posso sposarmi in Chiesa? Quando ho capito che amare il coniuge è la mia via di santità

5 Agosto 2023

Riassumendo all’osso il piano di Dio sull’amore umano potremmo dire esso che poggia su quattro pilastri: libertà (scelgo di amarti), unicità del legame (assenza di adulterio), indissolubilità, apertura alla vita (amore fecondo biologicamente e/o spiritualmente). Senza consapevolezza e comprensione di questi aspetti non si è immersi in Cristo e non si è in grado di accogliere il sacramento del matrimonio.

Con la Grazia del Sacramento del Matrimonio, la nostra condizione mortale assume una densità ed un’identità nuove: è quella sostanza nuova che rende possibile il dono totale di sé. 

Ciò è vero grazie al sigillo di consacrazione indelebile che il noi coniugale riceve durante la preghiera di benedizione, che è una vera e propria epiclesi sugli sposi e che trasforma i due in una sola carne, creandoli coniugi come avviene nell’ordine sacro. 

In questo senso la morte non distrugge questa nuova entità di coppia, ma trova il suo compimento pieno in Cristo. 

Il dono totale di sé all’altro nel giorno delle nozze si realizza completamente. Proprio come si è realizzato quello di Cristo sulla Croce: «Tutto è compiuto» (Gv 19,30).

Il dono del sacramento del matrimonio, alimentato dalla fede, ci abilita ad avere uno sguardo che va oltre le categorie del tempo presente fino a sfiorare l’eternità.

Se la Grazia del Sacramento del Matrimonio ci dona di amare come Cristo-Sposo ama la Chiesa-Sposa, se infonde nel cuore degli sposi la carità di Cristo, allora, con gli occhi della fede, ogni coniuge riconosce nell’altro (carne della sua carne) il volto dello Sposo Gesù che lo ama e che ha la missione di amare. 

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All’inizio può risultare facile riconoscere Cristo nel volto dell’altro, ma con il tempo potrebbe diventare più difficile e, a volte, anche impossibile. È proprio allora che deve entrare in gioco la fede, altrimenti si rischia una rottura del legame. 

Gli occhi della fede trasformano le difficoltà, le sofferenze, i fallimenti in un’offerta d’amore trasformando lo sguardo di entrambi, rendendoli capaci di riconoscere Cristo sposo nel coniuge. 

Tutto ciò è una preparazione graduale degli sposi alla vita celeste, nella quale il vincolo matrimoniale si scioglie (ciò avviene con la morte), ma rimane la carità che ha unito i coniugi su questa terra.

San Josemaria Escrivà diceva: «La strada per andare in paradiso, per te, ha il nome di tua moglie/marito».

Illuminanti sono le parole di Karol Wojtyła riportate nella sua opera La bottega dell’orefice, dove si legge: «L’amore non è un’avventura. Prende sapore da un uomo intero. Ha il suo peso specifico. È il peso di tutto il tuo destino. Non può durare un solo momento. L’eternità dell’uomo passa attraverso l’amore. Ecco perché si trova nella dimensione di Dio. Solo lui è Eternità».

Quando le croci e le notti dei dolorosi misteri della vita abbracciano gli sposi sembra che Cristo chieda loro: «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6, 67).

La fede autentica sembra sussurrare loro di rimanere lì, sul luogo della Croce, il più vicino possibile a Cristo. Uniti a Lui nella sua offerta, possono trasformarsi, con gli occhi della fede, in un’effusione pasquale di Pentecoste.




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Assunta Scialdone

Assunta Scialdone, sposa e madre, docente presso l’ISSR santi Apostoli Pietro e Paolo - area casertana - in Capua e di I.R.C nella scuola secondaria di Primo Grado. Dottore in Sacra Teologia in vita cristiana indirizzo spiritualità. Ha conseguito il Master in Scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Da anni impegnata nella pastorale familiare diocesana, serve lo Sposo servendo gli sposi.

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