ASSEMBLEA GENERALE
Volete dialogare come fratelli e sorelle in Cristo? Si chiama “conversare nello Spirito”
La Chiesa si prepara all’Assemblea Generale sul tema della sinodalità. Dall’Instrumentum laboris, molti spunti su tanti temi: dalle guerre, agli abusi nella Chiesa; dal ruolo della donna, all’approccio con il mondo lgbt+… Oggi rifletteremo sul punto: “Un modo di procedere per la Chiesa sinodale: la conversazione nello Spirito”
Dal punto di vista etimologico, il termine “conversazione” non indica un generico “scambio di idee”, ma quella dinamica in cui la parola pronunciata e ascoltata genera familiarità, consentendo ai partecipanti di diventare intimi gli uni degli altri. Questa è la premessa che si trova nell’Instrumentum Laboris preparatorio dell’Assemblea Generale che si terrà ad ottobre sul tema della sinodalità. Dopodiché si passa a spiegare che cosa si intenda per “conversazione nello Spirito”.
La precisazione “nello Spirito” ne individua “l’autentico protagonista”: i cristiani sono chiamati a mettersi all’ascolto della voce di Dio; “nella preghiera si aprono all’azione libera di Colui che, come il vento, soffia dove vuole (cfr. Gv 3,8)”. Quando non si verifica una vera conversazione nello Spirito? “Se non c’è un passo in avanti in una direzione precisa, spesso inaspettata, che punta a un’azione concreta”.
Nelle Chiese locali che durante la prima fase l’hanno praticata, “la conversazione nello Spirito è stata ‘scoperta’ come l’atmosfera che rende possibile la condivisione delle esperienze di vita e come lo spazio del discernimento in una Chiesa sinodale”.
Nei Documenti finali delle Assemblee continentali (necessarie per la redazione dell’Istrumentum laboris su cui stiamo riflettendo), viene descritta come “un momento pentecostale” e come “l’occasione per sperimentare di essere Chiesa e passare dall’ascolto dei fratelli”.
È lo Spirito Santo che investe di una missione, è lui il protagonista dell’evangelizzazione e a lui va data la precedenza, per scegliere come agire. Per diventare sempre più sinodale, la Chiesa deve coinvolgere lo Spirito Santo, cosicché possa davvero essere Lui a plasmarne le scelte quotidiane.
La conversazione nello Spirito, d’altronde, si inserisce nella lunga tradizione del discernimento ecclesiale, che ha espresso una pluralità di metodi e approcci. Anche nel Nuovo Testamento troviamo esempi di questo modo di conversare. Pensiamo all’incontro del Signore risorto con i due discepoli in cammino verso Emmaus (cfr. Lc 24,13-35, e la spiegazione che ne dà CV 237). Come mostra bene la loro esperienza, si spiega nel documento “la conversazione nello Spirito costruisce comunione e reca un dinamismo missionario: i due, infatti, fanno ritorno alla comunità che avevano abbandonato per condividere l’annuncio pasquale che il Signore è risorto”.
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Nella sua concretezza, specifica il documento “la conversazione nello Spirito può essere descritta come una preghiera condivisa in vista di un discernimento in comune”. I partecipanti “si preparano con la riflessione e la meditazione personale”. Dopodiché, si fanno “reciprocamente dono di una parola meditata e nutrita dalla preghiera, non di una opinione improvvisata sul momento”.
Come si articola la conversazione nello Spirito tra due o più partecipanti?
Il primo passaggio è dedicato alla presa di parola da parte di ciascuno, a partire dalla propria esperienza riletta nella preghiera durante il tempo della preparazione. Gli altri sono tenuti ad ascoltare in silenzio, con la certezza che ognuno ha un contributo prezioso da offrire. Non si entra qui in dibattiti o discussioni.
Il secondo passaggio successivo prevede che ciascuno apra dentro di sé uno spazio per gli altri e per l’Altro. Nuovamente ciascuno prende la parola: non per reagire e controbattere a quanto ascoltato, riaffermando la propria posizione, ma per esprimere che cosa durante l’ascolto lo ha toccato più profondamente e da che cosa si sente interpellato con più forza.
Il terzo passaggio, sempre in clima di preghiera e sotto la guida dello Spirito Santo, è quello della “identificazione dei punti chiave emersi e della costruzione di un consenso sui frutti del lavoro comune”. Non si tratta di stendere un verbale che elenchi i punti più spesso menzionati, ma occorre un discernimento, “che presti attenzione anche alle voci marginali e profetiche e non trascuri il significato dei punti rispetto ai quali emergono dissensi”. Il Signore “è la testata d’angolo che permetterà alla ‘costruzione’ di reggersi e lo Spirito, maestro di armonia, aiuterà a passare dalla confusione alla sinfonia”.
Il percorso si conclude con una preghiera di lode a Dio e di gratitudine per l’esperienza compiuta.
Certamente, fa notare il documento “Nella concretezza delle situazioni non è mai possibile seguire questo schema pedissequamente, ma bisogna sempre adattarlo”. Talvolta occorre “dare priorità alla presa di parola da parte di ciascuno e all’ascolto degli altri”; in altre circostanze al “far emergere i legami tra le diverse prospettive”; in altre ancora “all’esplicitazione di un consenso e al lavoro comune per identificare la direzione in cui ci si sente chiamati dallo Spirito a mettersi in movimento”. Al di là degli opportuni adattamenti concreti, l’intenzione e il dinamismo che uniscono i tre passaggi sono e restano “caratteristici del modo di procedere di una Chiesa sinodale”. Nel documento si afferma, infatti, che “la formazione alla conversazione nello Spirito è formazione a essere Chiesa sinodale”.
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