16 Maggio 2023
Investire sulla coppia e sul concepito per uscire dall’inverno demografico
Cinquecentomila nascite all’anno per salvare il sistema Paese: ecco l’obiettivo ribadito alla terza edizione degli Stati Generali della Natalità che si è svolta a Roma l’11 e 12 maggio scorso. I dati, riferiti dagli organizzatori sono allarmanti: a fronte di 700mila morti, nell’anno 2021 si sono registrate solo 339mila nascite. Nel 2014 erano oltre 500mila. Gigi De Paolo, presidente della Fondazione della Natalità, è stato chiaro e incisivo nei suoi interventi: bisogna assolutamente invertire questa tendenza. “Calo demografico significa squilibrio generazionale e impoverimento delle risorse innovative. In una frase: meno siamo, più invecchiamo e ci impoveriamo”.
Gian Carlo Blangiardo, ex presidente Istat, ha fornito una panoramica sulle future tendenze demografiche: “l’Italia conterà 11 milioni di abitanti in meno nei prossimi anni”. E aggiunge: “Dove si riuscisse a portare il numero medio di figli per donna dall’attuale 1,24 a 1,60 nel 2030 si avrebbe modo di raggiungere l’obiettivo di convergenza a mezzo milione di nati nel 2030. Questi sarebbero i parametri di un Pnrr nel segno di una riconquistata vitalità”.
Le cose che ho ascoltato in questa kermesse di interventi sono state molto interessanti. Ben rappresentati tutti gli ambiti in cui le misure a favore della natalità dovrebbe essere concretizzate: le istituzioni, i politici, le aziende, il giornalismo, gli economisti, la Chiesa. L’assenza di politiche familiari negli ultimi anni ha certamente acuito il problema. Ma è solo un problema economico e fiscale? Certamente no ma se non si spinge soprattutto in questo senso poco si riuscirà a fare per il futuro dei nostri figli spesso costretti ad andare all’estero per realizzare il loro sogno professionale e familiare. Come invertire la tendenza? Come si raggiunge quota 500mila? Qualcuno azzarda l’ipotesi di aumentare le migrazioni. Ma è stato dimostrato che più immigrati non significa più nascite. Nessun effetto significativo sulla natalità. Per tante ragioni, questi nuclei familiari tendono ad assorbire il modello italiano in termini di figli.
Credo che dovremmo anche considerare due aspetti essenziali, a parte la prospettiva della speranza che ben ha sottolineato lo scrittore Alessandro D’Avenia intervenendo alla prima giornata degli Stati Generali. La prima è il modo di vivere la sessualità. Negli ultimi anni abbiamo sganciato completamente la dimensione affettiva da quella procreativa. Il sesso è diventato la prima forma di piacere individuale e di coppia. La dimensione erotica è stata perseguita ed esaltata grandemente sterilizzando la capacità e il desiderio di dare la vita attraverso quella relazione d’amore stabile e duratura nel tempo. La prima forma di investimento sulla natalità andrebbe fatta accompagnando i fidanzati e le giovani coppie, o se vogliamo ancora prima i nostri giovani, a maturare una visione della sessualità nel senso pieno, come spazio e luogo di donazione ad un altro e insieme di altri (i figli). Bisogna scommettere sulla coppia e sulla famiglia. Se non agiamo su questa componente antropologica rischiamo di avere anche misure idonee ma non il desiderio di natalità. Mi sembra che la direzione culturale vada in senso opposto.
Altra questione per me fondamentale è la vita nel grembo materno. Come possiamo parlare di natalità senza toccare questo argomento? Comprendo che è divisorio come pochi ma fin quando una donna sarà costretta o convinta che abortire il proprio figlio sia la soluzione di un problema o addirittura un diritto, noi affrontiamo solo una parte del problema della natalità. I 70 mila aborti nel 2021 in Italia – dato non reale perché si devono aggiungere tutti gli “aborti fai da te” delle pillole – avrebbero contribuito a far salire le nascite nello stesso anno a quota 400mila.
Le questioni sono tante e la prospettica culturale è essenziale. I passi dobbiamo farli sinergicamente ognuno per la sua parte. Papa Francesco intervenendo agli Stati Generali ha posto l’accento, tra le altre cose, anche sulla felicità: “Una comunità felice sviluppa naturalmente i desideri di generare e di integrare, di accogliere, mentre una società infelice si riduce a una somma di individui che cercano di difendere a tutti i costi quello che hanno”. Francesco chiede dunque di sostenere la felicità, specialmente quella dei giovani, perché “quando siamo tristi ci difendiamo, ci chiudiamo e percepiamo tutto come una minaccia”.
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