27 Aprile 2023
“Che io tratti la mia fidanzata come il Tuo dono e la ami con il Tuo amore…”
Ci sono dei particolari della vita di Karol Wojtyla, sacerdote, vescovo e cardinale in Polonia, che sono molto significativi per comprendere l’attenzione che ha avuto da Papa al matrimonio e alla famiglia. Alcuni di questi sono venuti alla luce grazie all’impegno e allo studio dei professori Grygiel, Stanislaw e Ludmila e di don Przemyslaw Kwiatkowski. Sono frammenti molto luminosi di un pensiero e di un’esperienza profetica per gli anni in cui sono stati scritti e vissuti.
Uno di questi è la Regola del gruppo Humanae vitae. Alla fine degli anni Sessanta, dopo il Concilio Vaticano II, nel periodo della pubblicazione Humanae vitae di Paolo VI, l’arcivescovo Wojtyla fu così infiammato dalla proposta del pontefice, che abbracciò tote corde, tanto da voler proporre una forma concreta di vita. La regola nasceva da un’esperienza che già da alcuni anni egli conduceva con un gruppo di fidanzati diventati poi sposi. Il centro del loro cammino di fede era la riscoperta dell’identità della vocazione coniugale e la santità come orizzonte quotidiano del cammino.
Un percorso serio ed esigente, che faceva esclamare a Jerzy Ciesielski, oggi venerabile, durante il fidanzamento con Danuta: “Che io tratti la mia fidanzata come il Tuo dono e la ami con il Tuo amore, il cui esempio ci hai donato mediante il Tuo amore per la Chiesa. Che io prenda a cuore l’ideale del matrimonio cattolico e consideri la sua realizzazione l’impegno principale della mia vita”. Una preghiera audace, profonda, vera che si è tradotta in un preciso impegno di vita matrimoniale fino alla sua morte avvenuta tragicamente in Sudan.
Wojtyla seppe accompagnare e dunque educare questi fidanzati, poi sposi, a vivere pienamente la vocazione al matrimonio, a mettere al centro la spiritualità coniugale e familiare, la santità come “l’impegno principale della mia vita”. A me sembra che oggi manchi questo slancio audace, questa proposta affascinante ed esigente del matrimonio da parte di chi è deputato a formare e accompagnare i fidanzati al matrimonio. La scusa è il cambiamento culturale e sociale. Non mi sembra che all’epoca di don Karol, con un clima culturale e politico segnato dall’ideologia marxista, il contesto fosse migliore. Anzi. Sembra che oggi quello che manchi sia proprio il coraggio, lo slancio, il desiderio di fare della fede una spiritualità incarnata nella vita.
Si offrono consigli, quelli per l’uso, come va di moda oggi. I tutorial. Ma il matrimonio ha bisogno di testimoni, di contenuti, di proposte concrete di spiritualità, di spazi in cui crescere, di tempi in cui maturare. È un cambio di passo della pastorale, doveroso. E forse in testimoni come san Giovanni Paolo II, Danuta e Jerzy e tanti altri possiamo trovare una luce, una guida, l’entusiasmo che manca.
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