Udienza del Papa

“Qual è la tua droga per coprire le ferite?”: Papa Francesco all’Udienza

Per il Papa, la speranza sembra a volte “sigillata sotto la pietra della sfiducia”. Per questo invita ognuno di noi a pensare: “Dov’è la tua speranza?”. Poi parla delle ferite che abbiamo: “Le nostre ferite possono diventare fonti di speranza quando, anziché piangerci addosso o nasconderle, asciughiamo le lacrime altrui”.

Di Punto Famiglia

“Domenica scorsa la Liturgia ci ha fatto ascoltare la Passione del Signore. Essa termina con queste parole: «Sigillarono la pietra» (Mt 27,66): tutto sembra finito”. 

Inizia così la catechesi del papa, durante l’udienza generale del mercoledì della Settimana Santa. “Per i discepoli di Gesù quel macigno segna il capolinea della speranza”

Francesco ci mostra più nel dettaglio il punto di vista dei primi seguaci di Gesù: “Il Maestro è stato crocifisso, ucciso nel modo più crudele e umiliante, appeso a un patibolo infame fuori dalla città: un fallimento pubblico, il peggior finale possibile – a quell’epoca era il peggiore”. 

Anche noi, però, possiamo ritrovarci nei pensieri e nei sentimenti dei discepoli: “Anche in noi si addensano pensieri cupi e sentimenti di frustrazione”.

“Perché tanto male nel mondo? – ci interroga il Santo Padre – Ma guardate, che c’è male nel mondo! Perché le disuguaglianze continuano a crescere e la sospirata pace non arriva? Perché siamo attaccati così alla guerra, al farsi del male l’uno all’altro? E nei cuori di ognuno, quante attese svanite, quante delusioni! E ancora, quella sensazione che i tempi passati fossero migliori e che nel mondo, magari pure nella Chiesa, le cose non vadano come una volta…” 

Per il papa anche oggi la speranza sembra a volte “sigillata sotto la pietra della sfiducia”. 

Per questo invita ognuno di noi a pensare: “Dov’è la tua speranza? Tu, hai una speranza viva o l’hai sigillata lì, o l’hai nel cassetto come un ricordo? Ma la tua speranza ti spinge a camminare o è un ricordo romantico come se fosse una cosa che non esiste?”

Nella mente dei discepoli, nota Francesco, rimaneva fissa un’immagine: la croce. “E lì è finito tutto”. “Ma di lì a poco avrebbero scoperto proprio nella croce un nuovo inizio”. 

Il papa ci incoraggia: “La speranza di Dio germoglia così, nasce e rinasce nei buchi neri delle nostre attese deluse”. 

Con l’avvicinarsi del Venerdì Santo, preludio della Resurrezione, il santo padre invita: “Pensiamo proprio alla croce: dal più terribile strumento di tortura Dio ha ricavato il segno più grande dell’amore. Quel legno di morte, diventato albero di vita, ci ricorda che gli inizi di Dio cominciano spesso dalle nostre fini”. 

Leggi anche: Papa Francesco: “Diventare cristiano non è un maquillage che ti cambia la faccia” (puntofamiglia.net)

Il papa si lascia dunque andare ad un ricordo: “A me, quando potevo andare per le strade, adesso non posso perché non mi lasciano, ma quando potevo andare per le strade nell’altra Diocesi, piaceva guardare lo sguardo della gente. Quanti sguardi tristi! Gente triste, gente che parlava con sé stessa, gente che camminava soltanto con il telefonino, ma senza pace, senza speranza. E dov’è la tua speranza, oggi? Ci vuole un po’ di speranza per essere guariti dalla tristezza di cui siamo malati, per essere guariti dall’amarezza con cui inquiniamo la Chiesa e il mondo”.

Poi, il papa torna sul tema dell’autenticità: “Sempre cerchiamo di coprire le verità perché non ci piace; – afferma Francesco – ci rivestiamo di esteriorità che ricerchiamo e curiamo, di maschere per camuffarci e mostrarci migliori di come siamo. È un po’ l’abitudine del maquillage”. “Pensiamo che l’importante sia ostentare, apparire, così che gli altri dicano bene di noi”. 

Ci “addobbiamo di apparenze”, di “cose superflue”; ma così “non troviamo pace”. 

Poi “il maquillage se ne va e tu ti guardi allo specchio con la faccia brutta che hai, ma vera, quella che Dio ama, non quella ‘maquillata’”. Gesù, “spogliato di tutto”, ci ricorda che “la speranza rinasce col fare verità su di noi”, col “lasciar cadere le doppiezze”, col “liberarci dalla pacifica convivenza con le nostre falsità”. 

Alle volte, infatti, “noi finiamo avvelenati dalle nostre falsità”. Occorre dunque “tornare al cuore, all’essenziale, a una vita semplice, spoglia di tante cose inutili, che sono surrogati di speranza”. 

Il papa invita allora a “riscoprire il valore della sobrietà, il valore della rinuncia, di fare pulizia di ciò che inquina il cuore e rende tristi”. Ciascuno di noi “può pensare a una cosa inutile di cui può liberarsi per ritrovarsi”. 

Per fare un esempio, racconta che a Santa Marta, dove abita si è sparsa la voce che per questa Settimana Santa “sarebbe stato bello guardare il guardaroba e spogliare, mandare via le cose che abbiamo, che non usiamo…” 

E poi afferma: “Voi non immaginate la quantità di cose! È bello spogliarsi delle cose inutili. E questo è andato ai poveri”. “Anche noi, abbiamo tante cose inutili dentro il cuore – e fuori pure. Guardate il vostro guardaroba: guardatelo. Questo è utile, questo inutile … e fate pulizia. Guardate il guardaroba dell’anima: quante cose inutili hai, quante illusioni stupide. Torniamo alla semplicità, alle cose vere, che non hanno bisogno di truccarsi. Ecco un bell’esercizio!”

Il papa se che ognuno di noi ha delle ferite nel cuore. “Fratelli e sorelle, il punto non è essere feriti poco o tanto dalla vita, il punto è cosa fare delle mie ferite. Le piccoline, le grandi, quelle che lasceranno un segno nel mio corpo, nella mia anima sempre. Cosa faccio io, con le mie ferite? Cosa fai tu e tu con le tue ferite? “No, Padre, io non ne ho, ferite”. Stai attento, pensa due volte prima di dire questo”. Tutti, secondo Francesco, ne abbiamo. Il punto è “Cosa fai con le tue ferite, quelle che soltanto tu sai? Tu puoi lasciarle infettare nel rancore, nella tristezza oppure posso unirle a quelle di Gesù, perché anche le mie piaghe diventino luminose”. “E tu, qual è la tua droga, per coprire le ferite? Le nostre ferite possono diventare fonti di speranza quando, anziché piangerci addosso o nasconderle, asciughiamo le lacrime altrui; quando, anziché covare risentimento per quanto ci è tolto, ci prendiamo cura di ciò che manca agli altri; quando, anziché rimuginare in noi stessi, ci chiniamo su chi soffre; quando, anziché essere assetati d’amore per noi, dissetiamo chi ha bisogno di noi”.




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