Ero seduta tra i banchi della mia parrocchia come ogni sera. In quel posto a me così familiare, mi capita di vedere con gioia tanti fratelli che condividono l’eucaristia quotidiana ma anche persone nuove convenute per qualche anniversario particolare. Il Vangelo ci ha presentato il tradimento di Giuda. Nell’omelia il sacerdote ha parlato della forza del perdono. Accanto a me c’era un uomo, forse di mezza età. Era arrivato anche in ritardo e di corsa meritandosi una mia inutile occhiataccia. Ad un certo punto ho visto che si ripiegava su se stesso e mentre il sacerdote parlava, ha cominciato a piangere.
Il mio istinto materno mi suggeriva di avvicinarmi e di dargli una pacca sulla spalla, ma non era il momento. Quello era il tempo di Dio. Non conosco ciò che portava nel cuore ma so che il buon Dio gli stava parlando. Così per tutto il tempo della celebrazione ho pregato per lui. Tornando a casa ho pensato a quanto le parole del sacerdote, accompagnate dal timbro della voce sicuro e tenero nello stesso tempo, erano state importanti per quell’uomo.
Tante volte si esita a credere che i propri peccati possano essere perdonati. Tanti si fanno prendere dallo sconforto, dalla disperazione, dalla mediocrità, e in questo modo si allontanano sempre di più da Dio. Abbiamo bisogno di sacerdoti che passino come Gesù e nel suo Nome donino la salvezza. Di sacerdoti che invitano a vivere una vita sacramentale e non soltanto “solidale” come spesso si sente in tante omelie, dove la dimensione di carità sociale – centrale ci mancherebbe – ha finito per sovvertire quasi completamente la dimensione sacramentale come spazio di salvezza. Ogni sacramento è infatti la possibilità di un incontro reale con Gesù vivo. È compito del presbitero attivare questa possibilità.
Oggi il più grande luogo dell’assenza di Dio è il cuore dell’uomo. È lì che nascono i tradimenti, le gelosie, l’egoismo, la prevaricazione sull’altro. A me piace immaginare il sacerdote come colui che scende nelle profondità, si cala nelle ferite, nelle debolezze, nell’incapacità di vedere la luce e tende una mano, si lega quel cuore a sé per riportarlo in superficie, alla conversione, al perdono, alla luce. Non bisogna sfuggire a questo ministero. Quello che colpisce nella vita dei santi sacerdoti, come il Curato d’Ars o Padre Pio, sono quelle ore delle giornata passate al confessionale. Tante. Lì per offrire la corda del perdono e riportare alla luce tanti che si erano persi o allontanati.
Oggi invece, spesso si vedono sacerdoti agitati, in corsa a rompicollo, stretti in un attivismo sfrenato o in una sterile burocrazia. Più impegnati di noi laici. Non hanno mai tempo. Qualche giorno fa ho chiesto al mio padre spirituale in un messaggio: “Sei libero?”. Lui mi ha riposto: “Mai libero sempre disponibile”. Credo che sia questa la forza di un prete: farsi pane per gli altri in qualsiasi momento, opportuno o non opportuno. Un ministero non semplice ma necessario. Lì dove Gesù riesce a parlare al cuore dell’uomo, lì rinasce ogni volta la Chiesa.
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