La famiglia, una casa da costruire. La strategia di Papa Francesco

“Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi. Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove. E richiede pazienza, attesa” disse Papa Francesco alla Curia Romana il 20 dicembre 2019. Nel caso della famiglia, avviare processi cosa significa? Proviamo a comprendere la strategia del Papa in questi dieci anni. 

Ottobre 2014: il primo Sinodo presieduto da Papa Francesco è stato dedicato alla famiglia. Questa scelta appartiene ai primi mesi del suo pontificato e manifesta perciò un’evidente preoccupazione. Un Sinodo non è convegno ma il luogo in cui tutta la Chiesa, presente in forma rappresentativa, esercita il suo discernimento sui capitoli più importanti e significativi della sua missione. 

Fin dall’inizio purtroppo il processo sinodale è stato condizionato dalle sirene mediatiche di chi, all’interno e all’esterno della comunità ecclesiale, voleva imporre una propria agenda, mettendo in rilievo solo alcuni problemi, in primis quello dei divorziati risposati e, a ruota, le questioni relative all’omosessualità. Molti attendevano da Papa Francesco un cambiamento sostanzioso della dottrina e dalla prassi fin qui seguita dalla Chiesa Cattolica. D’altra parte, parole e gesti del Pontefice argentino – a partire dall’ormai famoso “chi sono io per giudicare” che sembrava sdoganare l’omosessualità – davano alle attese più di una legittima speranza. Tanti vedevano in lui una persona autorevole e capace di portare la Chiesa oltre la palude di un magistero ormai ossidato; e un abile innovatore disposto a lasciarsi realmente interrogare dalle sfide del presente per dare risposte nuove e più conformi alle aspettative di una società che attraversa grandi cambiamenti. 

La convocazione del Sinodo si muoveva in questa linea ma nello stesso tempo rappresentava una plateale smentita per coloro che forse speravano in interventi più immediati e tranchant. Fu chiaro a tutti che il Papa non avrebbe modificato la dottrina, anzi chiedeva di affrontare la questione in tutta la sua ampiezza, convocando tutte le parti. Un obiettivo come questo non poteva essere raggiunto nel corso di una sola assise, un reale approfondimento richiedeva tempi più ampi di riflessione e di confronto. Per questo Bergoglio decise di convocare un nuovo appuntamento per l’anno successivo. Solo nel contesto di una lettura complessiva dell’intera problematica era possibile avviare un processo di reale cambiamento. 

Si tratta di una precisa strategia culturale che torna spesso nel magistero di questo Papa, a partire dall’Esortazione Evangelii gaudium (2014) che possiamo considerare il suo documento programmatico. Bergoglio desidera appartenere alla categoria, a suo parere poco diffusa, di coloro che “si preoccupano realmente di dar vita a processi che costruiscano un popolo, più che ottenere risultati immediati che producano una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana” (EG 224). Questa metodologia viene ribadita in Amoris laetitia, il documento che sigilla e rilancia il Sinodo sulla famiglia (2016). Il Papa ne parla nel capitolo educativo, offre ai genitori un criterio per dare all’opera formativa una precisa indicazione valoriale: 

“Se un genitore è ossessionato di sapere dove si trova suo figlio e controllare tutti i suoi movimenti, cercherà solo di dominare il suo spazio. In questo modo non lo educherà, non lo rafforzerà, non lo preparerà ad affrontare le sfide. Quello che interessa principalmente è generare nel figlio, con molto amore, processi di maturazione della sua libertà, di preparazione, di crescita integrale, di coltivazione dell’autentica autonomia” (AL 261). 

È questa la strategia che guida l’azione pastorale del Papa, come ha spiegato lui stesso: “Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi. Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove. E richiede pazienza, attesa” (Discorso alla Curia Romana, 20 dicembre 2019). 

L’attenzione ai contenuti del messaggio a volte fa perdere di vista il metodo di azione. In questo caso, invece, il metodo scelto spiega anche i contenuti dei suoi molteplici interventi. Da una parte il Papa ribadisce che non vuole cambiare la dottrina ex cathedra e dall’altra fa capire chiaramente che intende generare processi che tendano a modificare la prassi attuale. Questo criterio appare nelle prime righe di Amoris laetitia:

“non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero. Naturalmente, nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano” (AL 3). 

Un esempio concreto di questo atteggiamento, che potrebbe apparire ambivalente ma risponde coerentemente ad una precisa scelta di metodo, viene nelle ultime ore. Chiamato nuovamente in causa sulla questione del celibato sacerdotale dal Sinodo tedesco, che chiede una sostanziale revisione della dottrina, il Papa ha dichiarato: “Non sono ancora pronto a rivederlo, ma ovviamente è una questione di disciplina, che oggi c’è e domani può non esserci, e non ha niente a che vedere con il dogma”. Ineccepibile sul piano dei contenuti. Il celibato sacerdotale potrebbe essere rivisto senza per questo intaccare il dogma. E tuttavia, è fin troppo facile sottolineare la diversità con quanto scriveva Giovanni Paolo II: “In quanto legge, esprime la volontà della Chiesa, prima ancora che la volontà del soggetto espressa dalla sua disponibilità. Ma la volontà della Chiesa trova la sua ultima motivazione nel legame che il celibato ha con l’Ordinazione sacra, che configura il sacerdote a Gesù Cristo Capo e Sposo della Chiesa” (Pastores dabo vobis, 29). 

In relazione alla famiglia, che significa avviare processi? Non è facile rispondere a questa domanda. Le conclusioni del recentissimo Sinodo della Chiesa tedesca – che a larga maggioranza chiede di rottamare il magistero su alcuni punti fondamentali che da sempre hanno guidato la prassi ecclesiale – lasciano presagire l’arrivo di una tempesta che non sarà facile gestire. Fa parte dei processi intenzionalmente voluti da Papa Francesco oppure è l’esito imprevisto e non desiderato di quel cambiamento che il Papa vuole imprimere nella Chiesa? È il primo vagito della Chiesa del futuro oppure il segnale che impone di intervenire per evitare che il caos dottrinale diventi la norma abituale dell’agire ecclesiale? 

Ogni strategia è opinabile e può essere modificata. Ciò che permette alla Chiesa di essere e restare fedele al mandato di Cristo è una sana dottrina, intesa non come una gabbia che imprigiona la libertà ma come un faro che rischiara i naviganti. È una necessità sempre più avvertita. Al Papa chiediamo parole chiare per dare una forma storica al progetto di Dio sulla famiglia, allo Spirito Santo chiediamo il coraggio e la forza di andare controcorrente.

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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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