CORRISPONDENZA FAMILIARE

Il vino della Pasqua. Sposi in ginocchio

6 Marzo 2023

“La fine di un amore non lascia certo indifferenti ma non suscita alcuna compassione perché il patto coniugale ha perso la sua oggettiva dignità”. Don Silvio ci offre una riflessione molto bella sulla necessità di tutelare l’amore coniugale e offrire percorsi idonei per educare gli sposi a scommettere tutto su Dio senza limitarsi solo a registrare – come fa la società –  i fallimenti del matrimonio. 

Quando una nave fa naufragio, siamo costretti a contare con dolore le vittime innocenti. E tutti sono pronti a dire che queste tragedie non devono ripetersi. Mai più. Quando invece l’amore coniugale fa naufragio, guardiamo con rassegnazione la barca che affonda nel mare della vita. Sembra che niente e nessuno possa fare qualcosa per evitare questo dramma che semina sofferenza e angoscia nel cuore di tante persone – adulti e minori – e rende oggettivamente più debole la convivenza sociale. Lo sanno bene coloro che hanno vissuto questa esperienza e devono lottare per custodire la speranza. 

La fine di un amore non lascia certo indifferenti ma non suscita alcuna compassione perché il patto coniugale ha perso la sua oggettiva dignità. L’amore coniugale non viene più percepito come un’alleanza che riveste tutta la vita, anzi questo ideale appare come una fragile illusione. È certamente più facile e accomodante pensare e vivere l’amore come un’esperienza che impegna solo i sentimenti e dura finché si vuole, cioè fino a quando appare appetibile. L’amore diventa così un vestito che con il tempo si logora e viene gettato. La politica non sa dare risposte a quel desiderio di comunione che appartiene per natura all’uomo e alla donna, si limita a gestire i fallimenti. Tutto è lasciato alla buona volontà dei singoli. Manca il coraggio di proporre un ideale che impegna tutta la persona e non solo i sentimenti. Manca una cultura che fa del bene comune una regola che viene prima delle pur legittime esigenze dell’io individuale.

La Chiesa non cade nella trappola del sentimentalismo e non cede alle sirene di quella cultura che propone la felicità individuale – secondo la percezione soggettiva del singolo – come il criterio decisivo delle scelte. Non come uno dei criteri che concorrono a determinare il discernimento ma come il criterio che decide e giustifica ogni scelta. Non importa se questo provoca ferite e sofferenze incalcolabili. Non basta avere un’alternativa, occorre proporre un itinerario educativo che, con saggezza e realismo, conduca sia i giovani che gli sposi a percepire l’amore come un patto che impegna e risana il cuore da quel virus che si chiama individualismo. 

La Chiesa attinge la sua certezza nella Scrittura, cioè nella Parola che Dio ha consegnato al suo popolo perché sia luce in mezzo alle genti. Se la Chiesa non fosse più capace di dire parole differenti e perciò indigeste alla maggioranza, finirebbe per diventare inutile, come il sale insipido. 

Una delle pagine più belle per annunciare l’amore coniugale è quella delle nozze di Cana (Gv 2,1-11). È pur vero, lo dico in forma di premessa, che il cuore dell’annuncio evangelico riguarda la nuova alleanza che Dio si prepara a realizzare mediante la Pasqua. L’evento di Cana è un segno profetico di quella pienezza che Dio vuole donare all’umanità. Nella cornice di questa alleanza, che ha il sapore nuziale della definitività, trova spazio e valore anche il patto coniugale che unisce l’uomo e la donna. 

Il racconto di Cana non nasconde le ombre: la mancanza del vino è segno dell’umana debolezza, ricorda che le buone intenzioni non sono sufficienti, la gioia della festa è minacciata. In questo contesto in cui tutto sembra perduto, Gesù interviene con autorità e impedisce al male di prevalere. Egli non solo riporta il matrimonio alla sua primitiva bellezza ma offre un vino ancora più buono, un vino che nessuno aveva ancora assaggiato. È il vino della Pasqua, il vino dell’amore crocifisso. Gli sposi che bevono quel vino diventano segno della nuova alleanza, testimoni di quell’amore che non teme la morte e si manifesta nel donare la vita. 

Leggi anche: Si può amare una persona per sempre?

Questo racconto non cessa di affascinare e interpellare la fede dei credenti. Vorrei commentarlo con le parole di Benedetto XVI (Milano, 2 giugno 2012). Nel corso dell’Incontro Mondiale delle famiglie, rispondendo ad una coppia di nubendi che si preparava a celebrare le nozze con gioia ma anche con quella trepidazione che deve insaporare ogni scelta, il Papa diceva: 

L’innamoramento è bello, ma forse non sempre perpetuo, così come è il sentimento: non rimane per sempre. Il passaggio dall’innamoramento al fidanzamento e poi al matrimonio esige diverse decisioni, esperienze interiori. È bello questo sentimento dell’amore, ma deve essere purificato, deve andare in un cammino di discernimento, cioè devono entrare anche la ragione e la volontà; devono unirsi ragione, sentimento e volontà. Nel Rito del Matrimonio, la Chiesa non dice: «Sei innamorato?», ma «Vuoi», «Sei deciso». L’innamoramento deve divenire vero amore coinvolgendo la volontà e la ragione in un cammino, che è quello del fidanzamento, di purificazione, di più grande profondità, così che realmente tutto l’uomo, con tutte le sue capacità, con il discernimento della ragione, la forza di volontà, dice: «Sì, questa è la mia vita».

Continua il Papa: “Il primo vino è bellissimo: è l’innamoramento. Ma non dura fino alla fine: deve venire un secondo vino, cioè deve fermentare e crescere, maturare. Un amore definitivo che diventi realmente secondo vino è più bello, migliore del primo vino. E questo dobbiamo cercare”. Questo secondo vino non è frutto delle nostre forze ma viene dall’alto, non è la somma dei nostri sforzi, ma è una grazia che solo Dio può dare. Per questo i giovani fanno della celebrazione nuziale il passaggio decisivo del loro cammino affettivo, non è solo una conferma pubblica del loro impegno ma la supplica e l’accoglienza della grazia che fortifica e sigilla l’amore umano. 

Tutto questo avviene nel contesto di una comunità che accompagna e sostiene il cammino dell’amore, non solo dei fidanzati ma anche degli sposi, come sottolinea ancora il Papa: “È importante anche che l’io non sia isolato, l’io e il tu, ma che sia coinvolta anche la comunità della parrocchia, la Chiesa, gli amici. Questo, tutta la personalizzazione giusta, la comunione di vita con altri, con famiglie che si appoggiano l’una all’altra, è molto importante e solo così, in questo coinvolgimento della comunità, degli amici, della Chiesa, della fede, di Dio stesso, cresce un vino che va per sempre”. 

La Quaresima è un cammino verso la Pasqua. Un vero cammino comincia piegando le ginocchia per chiedere la grazia dell’amore. Solo se imparano a stare in ginocchio dinanzi a Dio, gli sposi potranno vivere da redenti e trasformare anche la fatica di amare nella gioia di donare. Beati gli sposi che camminano mano nella mano, ogni giorno e tutti i giorni della vita, testimoniando così che quello che appare impossibile agli uomini diventa possibile grazie a Dio. 




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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