«Abbi cura di lui»: il papa nella Giornata Mondiale del Malato
Papa Francesco, in occasione della Giornata del Malato: “Quando si cammina insieme è normale che qualcuno si senta male, debba fermarsi per la stanchezza o per qualche incidente di percorso. È lì, in quei momenti, che si vede come stiamo camminando: se è veramente un camminare insieme, o se si sta sulla stessa strada ma ciascuno per conto proprio…”.
“La malattia fa parte della nostra esperienza umana. Ma essa può diventare disumana se è vissuta nell’isolamento e nell’abbandono, se non è accompagnata dalla cura e dalla compassione”.
Ha esordito così, papa Francesco, nella mattina di sabato 11 febbraio, in occasione della XXXI Giornata Mondiale del Malato.
“Quando si cammina insieme, – ha proseguito – è normale che qualcuno si senta male, debba fermarsi per la stanchezza o per qualche incidente di percorso. È lì, in quei momenti, che si vede come stiamo camminando: se è veramente un camminare insieme, o se si sta sulla stessa strada ma ciascuno per conto proprio, badando ai propri interessi e lasciando che gli altri si arrangino”.
Di, qui, secondo il santo Padre, la necessità di ribadire quanto importante sia accompagnare chi è più fragile: “vi invito a riflettere sul fatto che proprio attraverso l’esperienza della fragilità e della malattia possiamo imparare a camminare insieme secondo lo stile di Dio, che è vicinanza, compassione e tenerezza”.
Non manca un riferimento alla Sacra Scrittura: “Nel Libro del profeta Ezechiele, in un grande oracolo che costituisce uno dei punti culminanti di tutta la Rivelazione, il Signore parla così: «Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, […] le pascerò con giustizia» (34,15-16)”.
Ne è certo il pontefice: “L’esperienza dello smarrimento, della malattia e della debolezza fanno naturalmente parte del nostro cammino: non ci escludono dal popolo di Dio, anzi, ci portano al centro dell’attenzione del Signore, che è Padre e non vuole perdere per strada nemmeno uno dei suoi figli”.
Secondo Francesco è importante allora imparare dal Signore, “per essere davvero una comunità che cammina insieme, capace di non lasciarsi contagiare dalla cultura dello scarto”.
A questo punto, cita l’Enciclica Fratelli tutti, nella quale propone una lettura attualizzata della parabola del Buon Samaritano. “L’ho scelta come cardine, – afferma – come punto di svolta, per poter uscire dalle ombre di un mondo chiuso e pensare e generare un mondo aperto”.
Secondo il papa, c’è infatti una connessione profonda tra questa parabola di Gesù e i molti modi in cui oggi la fraternità è negata. “In particolare, – spiega – il fatto che la persona malmenata e derubata viene abbandonata lungo la strada, rappresenta la condizione in cui sono lasciati troppi nostri fratelli e sorelle nel momento in cui hanno più bisogno di aiuto”.
Distinguere quali assalti alla vita e alla sua dignità provengano da cause naturali e quali invece siano causati da ingiustizie e violenze non è facile, secondo Francesco. “In realtà, il livello delle disuguaglianze e il prevalere degli interessi di pochi incidono ormai su ogni ambiente umano in modo tale che risulta difficile considerare naturale qualunque esperienza. Ogni sofferenza si realizza in una cultura e fra le sue contraddizioni”.
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Ciò che importa, però, secondo Francesco “è riconoscere la condizione di solitudine, di abbandono. Si tratta di un’atrocità che può essere superata prima di qualsiasi altra ingiustizia, perché – come racconta la parabola – a eliminarla basta un attimo di attenzione, il movimento interiore della compassione”.
Non sempre essere cristiani “di nome” implica esserlo “di fatto”. A questo proposito, spiega il papa: “Due passanti, considerati religiosi, vedono il ferito e non si fermano. Il terzo, invece, un samaritano, uno che è oggetto di disprezzo, è mosso a compassione e si prende cura di quell’estraneo lungo la strada, trattandolo da fratello. Così facendo, senza nemmeno pensarci, cambia le cose, genera un mondo più fraterno”.
Il papa sa quanto dolore possa provocare la malattia: “Fratelli, sorelle, non siamo mai pronti per la malattia. E spesso nemmeno per ammettere l’avanzare dell’età. Temiamo la vulnerabilità e la pervasiva cultura del mercato ci spinge a negarla. Per la fragilità non c’è spazio”.
Questo, per il Santo Padre, è un grande problema, perché quando il male “irrompe e ci assale”, ci lascia a terra tramortiti. “Può accadere, allora, che gli altri ci abbandonino, o che paia a noi di doverli abbandonare, per non sentirci un peso nei loro confronti. Così inizia la solitudine, e ci avvelena il senso amaro di un’ingiustizia per cui sembra chiudersi anche il Cielo. Fatichiamo infatti a rimanere in pace con Dio, quando si rovina il rapporto con gli altri e con noi stessi”.
Secondo Francesco, è necessario che “la Chiesa intera si misuri con l’esempio evangelico del buon samaritano, per diventare un valido ospedale da campo”.
“Tutti siamo fragili e vulnerabili; – chiosa il papa – tutti abbiamo bisogno di quell’attenzione compassionevole che sa fermarsi, avvicinarsi, curare e sollevare. La condizione degli infermi è quindi un appello che interrompe l’indifferenza e frena il passo di chi avanza come se non avesse sorelle e fratelli”.
“La Giornata Mondiale del Malato, in effetti, non invita soltanto alla preghiera e alla prossimità verso i sofferenti; essa, nello stesso tempo, mira a sensibilizzare il popolo di Dio, le istituzioni sanitarie e la società civile a un nuovo modo di avanzare insieme”.
Infine, un riferimento alla terra mariana che da oltre un secolo e mezzo continua a essere un luogo di ristoro per il corpo e per lo spirito di tanti: “Anche l’11 febbraio 2023, guardiamo al Santuario di Lourdes come a una profezia, una lezione affidata alla Chiesa nel cuore della modernità. Non vale solo ciò che funziona e non conta solo chi produce. Le persone malate sono al centro del popolo di Dio, che avanza insieme a loro come profezia di un’umanità in cui ciascuno è prezioso e nessuno è da scartare”.
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