CORRISPONDENZA FAMILIARE

Non uccidere. La frontiera intransitabile della coscienza

23 Gennaio 2023

C’è un filo rosso che unisce la guerra all’aborto ed è la violenza. Abortire infatti significa sopprimere un essere umano nel suo sorgere. “Difenderemo con ogni mezzo l’aborto”, ha scritto recentemente Laura Boldrini. Basterebbe un po’ di ragionevolezza per capire che far passare l’aborto come un diritto è un’arma letale che semina morte, purtroppo nella più generale indifferenza. 

La guerra è una follia, lo sanno tutti. Il trionfo della violenza più brutale e distruttiva non rappresenta solo la sconfitta della politica ma la più plateale disfatta della ragione. “Non uccidere” è una legge scritta nella coscienza dell’uomo. Fa parte di quel patrimonio morale che appartiene ad ogni civiltà. Prima di essere un comandamento divino, è un precetto che obbliga ogni uomo a rispettare l’altro come un essere che ha pari dignità. 

Non c’è nulla di ragionevole nella guerra. Non è ragionevole mandare a morire migliaia di persone, distruggere città edificate con fatica e sacrificio da tante generazioni. Non è ragionevole investire ingenti risorse economiche per fabbricare armi e sottrarre i beni essenziali a quanti vivono nella più totale indigenza o comunque non ricevono il necessario per vivere dignitosamente. 

Anche l’aborto è una follia. C’è un filo rosso che unisce la guerra all’aborto, si chiama violenza. Abortire infatti significa sopprimere un essere umano nel suo sorgere, interrompere l’avventura della vita quando è ancora nella sua fase iniziale, soffocare sul nascere il soffio della vita. Un piccolo essere, debole e indifeso, che chiede solo di essere amato. 

È una follia negare che la donna porta in grembo un bambino. Se cercate la parola aborto su Wikipedia trovate questa asettica definizione: “interruzione della gravidanza prima della ventesima o ventiduesima settimana”. Poco dopo, quando mette a confronto lo scontro tra i fautori della pratica abortiva e quelli che vi si oppongono risolutamente, rappresenta così le rispettive ragioni:

“Coloro che sono contro l'aborto spesso sostengono che l'embrione o il feto sia un essere umano con il diritto alla vita e quindi possono paragonarlo ad un omicidio. Coloro che favoriscono la legalità dell'aborto ritengono che una donna abbia il diritto di prendere decisioni riguardo al proprio corpo”. 

Come si può facilmente notare, le ragioni dei due schieramenti si muovono su due piani essenzialmente diversi: da una parte il diritto alla vita e dall’altro l’esercizio della libertà individuale. Chi difende l’aborto non afferma che non c’è vita umana – sarebbe in palese contraddizione con tutte le conoscenze scientifiche ormai acquisite – ma ritiene che la donna abbia il diritto di fare quel che vuole di quella creatura che porta in grembo, come se fosse un fagottino di cui può sbarazzarsi a suo piacimento. Sarebbe fin troppo facile qui porre una domanda: il diritto alla libertà può mai calpestare la vita di un altro essere umano? Se ci fosse un briciolo di coerenza, la risposta sarebbe immediata e senza indulgenza. Ma siamo in un ambito in cui l’umile e sana ragionevolezza ha lasciato il posto alla più spietata follia. Proprio come avviene nella guerra in Ucraina in cui l’invasore, in barba ai trattati internazionali, rivendica la libertà di decidere quali sono i territori che gli appartengono. La guerra nasce sempre da un abuso della libertà. L’aborto si muove nella stessa linea. 

Difenderemo con ogni mezzo l’aborto”, ha scritto recentemente Laura Boldrini contro coloro che pretendono di far passare l’aborto come un omicidio. A suo giudizio è una posizione aberrante. Due sono le cose, tertium non datur, direbbero i latini: o si afferma che la donna non porta in grembo un essere umano oppure si dichiara che essa ha tutto il diritto di sopprimere la vita perché è sua proprietà. La seconda ipotesi si squalifica da sé, tanto è aberrante. Sappiamo per certo che nessuno e per nessuno motivo può ledere un altro essere umano. 

Leggi anche: Vita nascente: strumenti utili e testimoni efficaci 

Per quanto riguarda la prima, in attesa che i medici abbiano il coraggio di far parlare la scienza, mi permetto di chiamare in causa le mamme che hanno accolto la vita. Con quanta gioia comunicano di attendere un figlio. Con quanta cura si preoccupano di quella piccola creatura, monitorando la sua crescita con visite periodiche presso il ginecologo, pronte a fare tutti i sacrifici, se necessario, per custodire quel germoglio di vita. 

Diamo la parola alle mamme. E chiediamo ai medici di non chiudersi in un silenzio che li rende oggettivamente complici di una guerra non dichiarata ma che ogni anno fa più vittime di tutte le guerre combattute dalla seconda guerra mondiale fino ad oggi. 

Giorgio La Pira (1904-1977), sindaco di Firenze e più volte deputato, è unanimemente riconosciuto come un uomo che ha fatto del dialogo e della pace un obiettivo assolutamente necessario della politica. Con la stessa energia e passione ha difeso il diritto alla vita. La fede alimentava un’invincibile speranza ma quando, a metà degli anni ’70, vide profilarsi l’aborto nel dibattito pubblico in Italia, italiano, comprese subito il grande pericolo culturale e sociale. E intervenne con forza per difendere il diritto alla vita senza temere le inevitabili incomprensioni da parte di quei cattolici che volentieri sacrificavano i grandi temi etici sull’altare del dialogo. Nel marzo 1976, in pieno dibattito parlamentare sulla legge dell’aborto, La Pira scrisse che l’aborto è una “frontiera intransitabile non solo per i cristiani, ma per gli uomini in quanto tali”. L’articolo fu pubblicato sull’Osservatore Romano

L’aborto non è un tema tra gli altri ma quello che, più degli altri, svela l’individualismo cinico della cultura contemporanea. Far passare l’aborto come un diritto è un’arma letale che semina morte nella più generale indifferenza. Difendere la vita significa risvegliare le coscienze e ricordare che oggi possiamo vivere, parlare e gioire, amare e soffrire, perché una donna ci ha accolto, custodito e dato alla luce. 




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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