Vite dei santi
La storia di Edith Stein: una santa nata in una famiglia ebrea (prima parte)
di Chiara Chiessi
Edith Stein, divenuta santa con il nome di Benedetta della Croce, è stata definita da San Giovanni Paolo II “una personalità che portò nella sua intensa vita una sintesi drammatica del nostro secolo”. Tedesca di origini ebree, cresciuta nei valori della religione israelitica, si convertì al cattolicesimo. Tuttavia, imparò molto dalla sua famiglia, soprattutto dalla mamma.
Edith Stein (Santa Teresa Benedetta della Croce) era l’undicesima figlia di una famiglia ebraica ortodossa. Il padre morì prematuramente e la madre Augusta prese in mano le redini della famiglia dimostrando grande coraggio e determinazione, doti da cui Santa Teresa sarà molto ispirata in tutta la sua vita. Più volte, infatti, avrà parole di stima ed ammirazione per la mamma che aveva preso il posto del padre trasmettendo ai figli l’importanza dell’abnegazione e del sacrificio.
Dell’autobiografia della stessa santa, molto interessante è il primo capitolo in cui riporta i suoi ricordi sulla madre:
“Fu sempre insegnato loro [alla madre di Edith Stein, ai suoi fratelli e alle sue sorelle] il rispetto nei confronti di qualsiasi religione e di non parlarne mai male. Come detto precedentemente, il nonno insegnò ai suoi figli le preghiere prescritte. Il sabato pomeriggio entrambi i genitori chiamavano a raccolta i figli che erano in casa per recitare insieme con loro le preghiere vespertine e serali e spiegargliele. Lo studio giornaliero delle Scritture e del Talmud -considerato un obbligo dell’uomo ebreo nei secoli precedenti e tuttora in uso presso gli ebrei orientali- non veniva più praticato a casa dei miei nonni; ciò nonostante, tutti i precetti della Legge venivano osservati col massimo rigore”.
La famiglia della santa è ebrea praticante, ma non strettamente osservante. Sempre nella sua autobiografia Santa Teresa spiegherà che l’ebraismo per loro era più legato alla razza che non all’identità religiosa, una sorta di “ebraismo laico”, in cui però non meno forte era sentita l’identità tedesca.
La madre della Stein venne educata al massimo rispetto della religione altrui. Questo è indubbiamente un grande valore, che si trovò a dover vivere quando la figlia le annunciò di aver scelto di essere cattolica. Tale valore, però, in quella situazione si rivelò più proclamato che vissuto, data la contrarietà della madre alla scelta della figlia. Ciò fu evidente ancora di più poi quando Edith scelse di entrare nel Carmelo: la madre non risponderà mai alle lettere della figlia. Tuttavia, Edith non la giudicherà, infatti nei suoi scritti sono totalmente assenti parole di recriminazione. La sua coscienza è rettamente formata, il suo intelletto è cristallino. Sa fare i distinguo e riesce a non farsi travolgere dalle emozioni.
Edith descrive ancora la mamma come una donna intelligente, sensibile, energica:
“Quando non ha lavori più urgenti in casa o al negozio, lavora ai ferri e legge”; poi: “Il lavoro più faticoso non era mai troppo duro per lei”; e ancora: “Mia madre aveva imparato da piccola a suonare un po’ il pianoforte”. Ancora: “Era una gioia per mia madre coltivare lei stessa la frutta e la verdura, e in questo aveva una mano felice (…) Ancora oggi è per mia madre grandissima gioia seminare, raccogliere e regalare agli altri parti abbondanti del raccolto. In tal modo si attiene all’antica usanza ebraica per cui le primizie d’ogni tipo non si mangiano, ma si regalano”.
Era anche una donna di notevoli doti commerciali. Morto il marito, i suoi fratelli le consigliarono di abbandonare la ditta – che peraltro non volgeva in ottime condizioni -. Ecco cosa racconta Edith:
“La sua decisione era presa: voleva cavarsela da sola e non accettare aiuto da nessuno.(…) Ella fece presto a impadronirsi delle conoscenze tecniche e del particolare procedimento del calcolo del legname. E piano piano, passo dopo passo, riuscì a farsi una posizione. (…) Mia madre non si accontentava di procurare il necessario per il bisogno quotidiano. Anzitutto si era imposta un grande compito: nessuno avrebbe dovuto dire, morto mio padre, che egli non avesse pagato i suoi debiti, che infatti furono pian piano estinti fino all’ultimo centesimo. Era inoltre necessario dare ai figli una buona educazione”.
Ed ancora piccoli aneddoti di vita familiare:
“Quando faceva il bagno a noi bimbi, il che accadeva abbastanza spesso quando eravamo più piccoli, ci intratteneva con canti tratti dalle operette di Jacques Offenbach (“Venne un ricco piantatore brasiliano…”) e altre melodie degli spettacoli cui aveva assistito in gioventù. A conclusione del bagno, ci avvolgeva dalla testa ai piedi in un accappatoio gigantesco e faceva finta, mentre ci asciugava, che fossimo una montagna di pasta da trasformare in pane. Il che implicava solletico e pizzicotti, fino a quando eravamo del tutto senza fiato dalle risa, la mamma non meno di noi”.
Riguardo al rapporto che la madre aveva con suo marito, nonostante tutte le difficoltà economiche affrontate, Edith Stein così racconta:
“Sopraggiunsero gravi preoccupazioni per il pane: il nuovo negozio era gravato di debiti e non si avviò tanto presto. Mia madre non ha mai detto una parola riguardo alle difficoltà che ha dovuto affrontare anche durante la sua vita matrimoniale. Di mio padre ha sempre parlato con un tono di amore sincero e ancor oggi, dopo tanti anni, quando si ferma davanti alla sua tomba, si vede che il dolore per lui non si è spento. Dopo la sua morte ha sempre portato abiti neri”.
Dopo un periodo giovanile di ateismo, l’anno 1917 si rivela fondamentale per Edith, ma di questo parleremo in un prossimo articolo…
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