CORRISPONDENZA FAMILIARE
Senza fede, la vita è più complicata. Il magistero di Papa Benedetto
9 Gennaio 2023
La fede non è un affare privato e neppure una graziosa appendice della vita sociale. Al contrario, rappresenta uno dei pilastri della convivenza e svolge un ruolo indispensabile per rivestire di dignità la vita dell’uomo, di tutti e di ciascuno. Questa convinzione attraversa tutta la vita e il magistero di Joseph Ratzinger.
Nella prefazione di un libro di prossima pubblicazione, che raccoglie i pensieri spirituali di Benedetto XVI, Papa Francesco ha richiamato la dimensione orante, sottolineando che è questa la fonte da cui scaturiva, come acqua dalla roccia, tutta la riflessione teologica: “Benedetto XVI faceva teologia in ginocchio. Il suo argomentare la fede era compiuto con la devozione dell’uomo che ha abbandonato tutto sé stesso a Dio e che, sotto la guida dello Spirito Santo, cercava una sempre maggior compenetrazione del mistero di quel Gesù che lo aveva affascinato fin da giovane”. E aggiunge: “Il modo nel quale Benedetto XVI ha saputo far interagire cuore e ragione, pensiero e affetti, razionalità ed emozione costituisce un modello fecondo su come poter raccontare a tutti la forza dirompente del Vangelo”.
Il magistero di Joseph Ratzinger ha toccato gli argomenti più diversi, come dimostra l’Opera omnia in 16 volumi che raccoglie i suoi scritti teologici più significativi, ma il tema che più gli sta a cuore, quello che motiva la ricerca e la fatica della sua riflessione, è il desiderio di mostrare che la fede pensata e vissuta è una sorgente di vita per l’umanità. È questo il punto di partenza di un cristianesimo che vuole continuare ad essere “sale della terra” e “luce del mondo”. Non è un capitolo della riflessione ma la premessa insindacabile, una sorta di assioma che nasce dalla certezza che in Cristo – e solo in Lui – ogni uomo scopre, riceve e raggiunge quella pienezza che il cuore desidera.
Dinanzi alle molteplici e sempre più complesse sfide che l’umanità deve affrontare, non basta mettere in campo tutte le potenzialità della scienza. Con chiarezza e lungimiranza Ratzinger ha denunciato questo ottimismo antropologico che sembra dimenticare l’intrinseca debolezza della condizione umana e quella perversa inclinazione al male che inquina progetti e capacità. Ed è ormai evidente a tutti che il progresso tecnico sempre più sofisticato si rivela radicalmente insufficiente, anzi diventa controproducente se non è accompagnato da un’adeguata capacità spirituale e morale. Appare profetico quell’ammonimento che ha trovato spazio nel Concilio Vaticano II: “L’epoca nostra, più ancora che i secoli passati, ha bisogno di questa sapienza, perché diventino più umane tutte le sue scoperte” (Gaudium et spes, 15).
La fede non è un affare privato e neppure una graziosa appendice della vita sociale. Al contrario, rappresenta uno dei pilastri della convivenza e svolge un ruolo indispensabile per rivestire di dignità la vita dell’uomo, di tutti e di ciascuno. Questa convinzione, che attraversa tutta la vita e il magistero di Joseph Ratzinger, è stata ribadita nella luminosa omelia che ha dato inizio al suo ministero sulla cattedra di Pietro, in quell’occasione disse che la Chiesa ha il compito di “condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza” (24 aprile 2005). La fede non imprigiona la ragione ma la libera dalle secche di una cultura che riduce l’uomo alla sola dimensione materiale.
In un’intervista pubblicata alla fine degli anni ’90 il cardinale Ratzinger disse che “un mondo privo di Dio si logora sempre di più, ed è divenuto un mondo senza gioia” (Il sale della terra, 30). E aggiunse:
“Vivere senza fede significa venirsi a trovare in uno stato di nichilismo e dover comunque cercare punti di appoggio. La vita senza la fede è complicata. […] Credere significa diventare come angeli, come dicono i Padri. Possiamo volare perché non siamo più un peso a noi stessi, perché non ci prendiamo così drammaticamente sul serio. Diventare credenti significa diventare leggeri, uscire da un baricentro che ci fa tendere in basso, e salire alla libertà e alla leggerezza della fede” (Ib., 32).
Papa Benedetto sapeva bene che, nel contesto culturale odierno, che ritiene di poter fare a meno di Dio, scegliere di essere e dirsi credenti è oggettivamente più difficile, testimoniare la fede richiede più coraggio e convinzione. Per questo ha proclamato l’Anno della Fede (2011-2012) per sollecitare la Chiesa a prendere coscienza che la fede non può essere più considerata come “un presupposto ovvio del vivere comune” né può essere accettata per abitudine ma chiede di essere accolta con una nuova e più matura consapevolezza (Porta fidei, 2). Di qui la necessità di nutrire la fede attraverso la catechesi e la vita sacramentale.
In questa cornice, appena accennata, non sorprende che il tema della fede sia presente anche nel suo testamento spirituale. Anzi, l’estrema concisione del testo dona ancora più risalto a queste parole che suonano come una calorosa raccomandazione: “Rimanete saldi nella fede! Non lasciatevi confondere! […] Ho visto e vedo come dal groviglio delle ipotesi sia emersa ed emerga nuovamente la ragionevolezza della fede. Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita — e la Chiesa, con tutte le sue insufficienze, è veramente il Suo corpo”.
Il magistero di Papa Benedetto ha lasciato una traccia luminosa che accompagna e sostiene la vita di tanti credenti. Possiamo applicare a lui le parole che negli anni ’70 il cardinale Antonio Poma, arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, disse in riferimento al Vaticano II: “Se non ci fosse stato saremmo dei miseri; se non lo realizzassimo saremmo dei miserabili”.
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