Joseph Ratzinger: rimettere Cristo al centro!

È stato un grande teologo, tra i più significativi del Novecento, un uomo dotato di un particolare carisma intellettuale. Nella veste di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, dal 1981 al 2005, è stato il più fidato collaboratore di Giovanni Paolo II, offrendo al Papa polacco le coordinate teologiche per leggere ed affrontare le sfide più importanti della nostra epoca. In quanto membro del Collegio cardinalizio ha occupato posti di altissima responsabilità ed è intervenuto con autorità e competenza in tutte le questioni più importanti della vita ecclesiale, anche e soprattutto le problematiche più delicate: dalla vita sacramentale alla bioetica, dalla liturgia ai movimenti ecclesiali. Non c’è ambito in cui non abbia lasciato un utile approfondimento. E tuttavia, prima di tutto Ratzinger resta un prete, un pastore di anime, un predicatore instancabile. Tutto il suo lungo ministero aveva un solo obiettivo: rimettere Cristo al centro della vita e della missione della Chiesa. 

Papa Ratzinger è stato un vero maestro della fede che ha saputo offrire a tutti un cibo spirituale nutriente e raffinato. Uno chef stellato della predicazione. Nel corso di una conferenza stampa, a seguito della visita che Benedetto XVI fece a Monaco nel giugno 2020, monsignor Rudolf Voderholzer, teologo e vescovo di Ratisbona, ha definito Papa Ratzinger “il più grande predicatore sulla cattedra di Pietro, dai tempi di Leone Magno e Gregorio Magno”. Non è un’affermazione esagerata e neppure un elogio interessato. Sono convinto che la storia gli darà ragione. In effetti l’accurata analisi biblica delle sue omelie non è mai erudizione esegetica ma la premessa per una riflessione tesa a far emergere quella luce che spesso è come nascosta nelle pieghe del testo biblico. Ed è bene aggiungere che la precisione dei concetti s’intreccia con l’estrema semplicità delle parole. Per questo il Papa parla a tutti. Basta rileggere il discorso che rivolse ai ministranti nel corso di un incontro internazionale (4 agosto 2010). In quel momento tutta la ricchezza teologica del suo pensiero lasciava spazio alla catechesi che ogni buon parroco è capace di dare ai suoi ragazzi.

“Intransigente”, ha detto di lui in queste ore un prete, famoso per le sue battaglie sociali. È un’etichetta che troppo spesso gli è stata appiccicata addosso. Il giorno dopo la sua elezione al pontificato un quotidiano italiano mise in prima pagina questo titolo, volutamente ambivalente: “Il pastore tedesco”. Non c’è dubbio, fedele interprete della Tradizione, Benedetto XVI ha costantemente difeso i punti qualificanti e irrinunciabili della fede; così come in ambito socio-politico ha ricordato più volte che ci sono “principi non negoziabili”, quelli che appartengono alla struttura fondamentale della vita umana. È bene tuttavia ricordare che per Ratzinger Cristo viene prima della dottrina. La difesa della verità è solo un capitolo di un libro ben più ampio che ha come punto di partenza e di arrivo la carità evangelica, come dimostra il tema della prima enciclica: Deus caritas est (2005). L’insistenza sulla ragione serve a mettere ancora più in evidenza che la fede ha una sua intrinseca ragionevolezza anche se supera i confini della riflessione razionale. 

Nell’omelia pronunciata nella Messa “Pro eligendo Pontefice”, che precede l’inizio del Conclave, fece scalpore il suo riferimento alla “dittatura del relativismo”. È un tema molto presente nella sua riflessione, possiamo anche dire che era una costante preoccupazione. E tuttavia, la cronaca giornalistica ha amplificato questo riferimento, trascurando gli altri elementi. In quell’omelia ha parlato anche dell’amicizia con Cristo, della misericordia che Dio ha rivelato in Gesù e della necessità di portare frutto. Insomma, un’omelia assai bella e ricca di spunti, espressione di un credente che vive con tutto il suo io umano rivolto a Cristo. 

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Interessante a questo proposito rileggere l’ampio discorso che ha tenuto a conclusione del Convegno Ecclesiale della Chiesa italiana (20 ottobre 2006). Chi si aspettava dal Papa un’agenda precisa delle cose da fare o una ramanzina su alcune derive dottrinali, è andato deluso. Ratzinger parlò del battesimo che cambia radicalmente l’identità dell’uomo – “io, non più io”, disse rielaborando le parole di Paolo (Gal 2, 20) – e lo pone nella storia come una viva e autentica immagine di Cristo. E richiamò la Resurrezione come l’evento che sta al centro della storia perché in essa si rivela e si compie un “salto qualitativo” verso una dimensione di vita profondamente nuova che non riguarda solo Gesù di Nazaret ma, in Lui e per Lui, tutta la famiglia umana, anzi, l’intero universo. Tutto infatti è toccato da questo evento nascosto nella storia. Dopo la Resurrezione niente è come prima, tutto è toccato dalla grazia che rinnova ogni aspetto della vita personale e collettiva. 

Il contributo che Papa Ratzinger ha offerto alla Chiesa e all’umanità è così ampio da richiedere anni di studio e di approfondimento. Ma prima di tutto, è bene ricordare quello che in queste ore ha detto il suo Segretario personale, mons. Georg Gaenswein: “Ha vissuto amando il Signore fino alla fine”. La santità di vita precede e motiva ogni cosa. Tutto passa. Sulla bilancia della vita non contano né pesano i libri scritti e le opere compiute. Conta solo l’amore. Ed è proprio quello che ha permesso a Jospeh Ratzinger di custodire fedelmente la veste battesimale fino alla fine. 




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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